Milano, 16 luglio 2014 - "Certamente, non può dirsi che il delitto abbia costituito il tragico epilogo di una colluttazione, che risulta smentita dalle condizioni della vittima, letteralmente massacrata da plurimi colpi tutti localizzati al capo (il cranio era stato sfondato in più punti) e nella parte superiore del corpo, a opera di un soggetto collocato in posizione sovrastante. Vanno poi evidenziate le lesioni da difesa (soltanto ecchimosi ed escoriazioni, a eccezione della lesione a un dito), anch'esse significative di una vera e propria aggressione in cui la vittima non è nemmeno riuscita a reagire". Si tratta di quanto sostiene il giudice Barbara Bellerio nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 16 luglio la prima corte d'assise corte d'appello ha ridotto dall'ergastolo a 30 anni di reclusione la condanna inflitta a Ivan Gallo, che il 21 marzo 2013 ha ucciso l'orefice Giovanni Veronesi, 75 anni, con quaranta martellate nella sua gioielleria di via dell'Orso nel quartiere Brera. La corte aveva ridotto la pena, escludendo alcune delle aggravanti contestate all'imputato, ma non aveva derubricato l'imputazione principale di omicidio volontario in omicidio preterintenzionale come chiesto dalla difesa.
Gallo è un tecnico che al momento dell'omicidio aveva 37 anni ed era stato da poco licenziato dall'azienda che si occupava anche dell'impianto di videosorveglianza della gioielleria. Interrogato dal giudice per le indagini preliminari dopo l'arresto, aveva confessato di aver ucciso Veronesi, perché si trovava in una situazione economica disperata. "Sono andato un po'... ho detto no, l'ho ammazzato. E sono andato un po'... e sinceramente l'unica cosa che ho pensato, per me... (piangendo) per me la mia vita era finita. E l'unica cosa che volevo era rivedere l'ultima volta mia figlia prima che mi prendessero. E sono scappato per rivedere mia figlia per l'ultima volta", aveva detto Gallo nell'interrogatorio di garanzia. A suo dire l'intenzione, quel giorno, era stata quella di rubare dei gioielli, approfittando di un momento di distrazione di Veronesi, ma quando l'orefice si è accorto di quanto stava facendo, l'ha minacciato e colpito con un cacciavite e un martello trovati sul posto fino a ucciderlo, per poi scappare a Marbella, in Spagna, dov'è stato arrestato dopo una fuga durata cinque giorni.
In appello la corte presieduta da Silvio Silocchi ha riconosciuto a Gallo la continuazione tra le imputazioni di omicidio e di rapina come chiesto dal difensore, l'avvocato Antonio Ranieli, e ha escluso le aggravanti dei motivi abietti e futili e della minorata difesa riconosciute in primo grado, con conseguente sconto di pena. Restano contestate, invece, le aggravanti della crudeltà e del nesso causale tra la rapina e l'uccisione del gioielliere. "Quanto alle aggravanti contestate è sicuramente sussistente quella del nesso teleologico - scrive il giudice estensore nelle motivazioni -, perché l'omicidio venne commesso per poter portare a termine la rapina e per poter fuggire, predisponendo la fuga e procurandosi l'impunità. Egualmente da confermare è quella dell'avere agito con crudeltà", perché il Gallo ha infierito sulla vittima, sfondandole il cranio in più punti. Il povero Veronesi non ha potuto in alcun modo reagire alla cieca violenza del suo aggressore". Secondo il magistrato, infine, "vanno invece escluse le ulteriori aggravanti dei motivi abietti e della minorata difesa: i primi appaiono in questo contesto incompatibili col nesso teleologico; quando alla seconda, la vittima era persona in gamba, come si è detto particolarmente attenta, che non apriva la porta se non in sicurezza (e in questo caso lo aveva fatto perché già conosceva il Gallo).
Il difensore ha preannunciato il ricorso in cassazione. "Proporrò appello per la concessione delle attenuanti generiche al mio assistito, in virtù del comportamento processuale improntato alla massima lealtà, perché quando è stato fermato in Spagna, prima di sapere cosa gli venisse contestato, ha confessato tutto", ha dichiarato Ranieli.