
L'auto su cui viaggiava Umberto Mormile l'11 aprile del 1990
Opera (Milano), 13 marzo 2025 – “Il fatto non sussiste”. Con quattro parole si è sgretolata la speranza dei familiari e di tutti coloro che da 35 anni attendono chiarezza e giustizia sull’omicidio di Umberto Mormile dell’11 aprile 1990. Il collaboratore di giustizia Salvatore Pace, accusato di aver collaborato, fornendo armi e mezzi, all’assassinio dell’educatore, è stato assolto ieri. La Corte d’assise d’appello di Milano, presieduta da Ivana Caputo, ha ribaltato la sentenza di primo grado con la quale a Pace erano stati inflitti 7 anni assieme a Vittorio Foschini, che aveva rinunciato all’appello. Una sentenza che “avvilisce – commenta Stefano Mormile, fratello di Umberto –. Una guerra che sembra impossibile da vincere. La verità storica è emersa, grazie a un grande lavoro di indagine, all’impegno dell’avvocato Fabio Repici, da sempre vicino. La verità giudiziaria, invece, rimane sotterrata”.

Flebile speranza
Trentacinque anni di dolore, intervallati da flebile speranza, prima alla riapertura del caso, voluta fortemente proprio dai familiari, poi coi due nomi di Pace e Foschini, indicati come partecipanti dell’omicidio. E ancora, la condanna in primo grado, che aveva dato tregua alla rabbia dei parenti di Umberto. Ora, la delusione: “Tante emozioni, tutte diverse, tutte uniche – racconta Stefano Mormile –. Eravamo consapevoli delle difficoltà di questo processo, una storia che ha portato a galla verità scomode, imbarazzanti, questioni legate ai servizi segreti deviati, tema di sconcertante attualità. Anni difficili, tra umiliazioni e sconfitte: la richiesta di archiviazione del caso, poi respinta, le calunnie nei confronti di mio fratello, il ruolo della Falange Armata, l’organizzazione terroristica che ha fatto vittime negli anni Novanta, quello della ‘ndrangheta, mandante dell’omicidio. Umberto – prosegue il fratello – da educatore nel carcere di Opera aveva scoperto i rapporti tra servizi deviati e boss: era diventato un pericolo”.
Amarezza
Nessun dubbio è rimasto su esecutori e mandanti: a ordinare l’assassinio furono i boss Antonio e Domenico Papalia e Franco Coco Trovato. A eseguirlo, i killer Antonio Schettini e Nino Cuzzola, tutti condannati. La riapertura del caso aveva attribuito un ruolo non secondario a Pace, ora assolto. “Attenderemo le motivazioni e faremo ricorso – conclude Mormile –. L’amarezza non passa, ma mi sento forte grazie alle tante persone vicine: un affetto enorme che ritengo un regalo che mio fratello mi ha fatto indirettamente. Andiamo avanti, per dare dignità a Umberto”.