NICOLA PALMA
Cronaca

Omicidio in via Varsavia, l’ipotesi della fuga all’estero del commando. Il padre di Jhonny era faccia a faccia coi killer

In due all’incontro delle 2, poi alle 3 l’arrivo in auto di un commando di cinque persone. Forse dopo l’esecuzione qualcuno è scappato all’estero. Si stringe il cerchio della Mobile

Jhonny Sulejmanovic. A destra, rilievi sul luogo dell'omicidio

Ore 3.05 di venerdì, siamo in via Varsavia. I tir sono già in coda per entrare all’Ortomercato per scaricare bancali di frutta e verdura. Una macchina nera, forse una Seat Ibiza, inchioda all’altezza del civico 6, di fianco al Ducato grigio dove stanno dormendo il diciottenne rom bosniaco Jhonny Sulejmanovic e la moglie Samantha, al quarto mese di gravidanza. Scendono in cinque, a volto scoperto: si piazzano sui due lati e iniziano a colpire i finestrini con mazze e manganelli telescopici: sono sicuri che il ragazzo sia dentro, vogliono tirarlo fuori con la forza. La compagna riesce in qualche modo a scappare: uno del commando le corre dietro e la malmena, ma poi la lascia lì. Non è lei il bersaglio. Nel frattempo, Jhonny è già nelle mani degli altri quattro: uno di loro, armato di pistola, gli spara tre colpi da distanza ravvicinata, colpendolo a petto e braccio. Un’esecuzione. Man mano che passano le ore, si chiariscono anche i contorni dell’agguato killer andato in scena due giorni fa.

I colpi in aria

Stando a quanto ricostruito al momento, le bastonate sui vetri e i tre proiettili calibro 7.65 sparati nel cuore della notte svegliano subito i familiari di Sulejmanovic, che vivono in due camper parcheggiati lungo il marciapiedi. Il primo a scendere è il padre di Jhonny, che cerca di pararsi davanti ai sicari e di bloccarne in qualche modo la fuga: a quel punto, l’uomo armato esplode un paio di colpi intimidatori verso l’alto, i cui bossoli verranno poi repertati dalla Scientifica, e si infila in macchina con il resto del commando per fuggire in direzione via Tertulliano. Nel frattempo, arriva anche Kevin, il fratello maggiore del diciottenne, che fa giusto in tempo a sentirsi dire "Ti voglio bene". La macchina dei soccorsi si attiva immediatamente, ma per Jhonny non c’è niente da fare: muore al Policlinico alle 4.25.

Il primo appuntamento

La famiglia del morto racconta alla polizia che un’ora prima dell’agguato c’è stato un episodio direttamente collegato all’assalto letale. Un’auto nera, forse la stessa poi usata dal gruppo di fuoco, è arrivata in via Varsavia alle 2: due uomini hanno intimato senza troppi complimenti al diciottenne di seguirli per bere qualcosa insieme, per un chiarimento o per attirarlo in un posto meno esposto. Il ragazzo, anche su sollecitazione della compagna, ha detto di "no", opponendosi all’energico tentativo di portarlo via.

I parenti dicono di conoscere uno di quei due, così come assicurano di sapere chi ha premuto il grilletto nonché la sua provincia di provenienza: la Bergamasca. "Sono bosniaci come noi", ripetono. Informazioni tuttora al vaglio degli specialisti della Omicidi della Squadra mobile, coordinati dal pm Pasquale Addesso e guidati dal dirigente Alfonso Iadevaia e dal vice Domenico Balsamo, che stanno cercando riscontri pure nelle immagini registrate dalle telecamere. L’impressione è che gli agenti abbiano un quadro piuttosto chiaro sui cinque entrati in azione, anche se gli approfondimenti in corso punteranno ad attribuire ruoli e responsabilità e a trovare ulteriori tracce per incastrare i presunti colpevoli nei dati registrati dalle celle telefoniche e nella galassia social.

L’inchiesta sul movente

Perché Sulejmanovic è stato assassinato? L’ipotesi più accreditata parla di una faida tra fazioni rivali di nomadi. Il diciottenne e i parenti, parte di una grande famiglia di stanza a Torino, hanno lasciato il capoluogo piemontese cinque-sei mesi fa per trasferirsi a Milano. Da allora si sono stabiliti in zona Molise-Calvairate: proprio Jhonny era stato controllato da quelle parti il 21 gennaio dai poliziotti del commissariato Mecenate. In questo scenario, ci sono varie ipotesi sul tavolo. Una suppone che i nuovi arrivati non siano stati accolti bene dai rom della zona e che Jhonny in particolare abbia pestato i piedi a chi si sente il padrone criminale di quello spicchio degradato di metropoli, generando una reazione violentissima per ristabilire le gerarchie sul territorio. L’altra immagina che l’omicidio sia il tragico riverbero delle tensioni tra due "clan" rivali a Torino, i Sulejmanovic e i Salkanovic, esplose per l’ennesima volta a metà aprile.

All’estero

Il fatto che i cinque sicari abbiano agito a volto scoperto, incuranti di occhi elettronici e possibili testimoni, lascia pensare che abbiano messo in conto una rapida identificazione da parte delle forze dell’ordine. Non è escluso che alcuni di loro siano già lontani, forse all’estero, per sfuggire a eventuali operazioni-lampo della polizia.