di Viviana Ponchia
Un ex dipendente: "Devono andare in galera e l’azienda deve chiudere". Il titolare della Sigifer: "No, non è assolutamente una cosa normale. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto. I ragazzi lo sapevano. Non volevo nemmeno usassero il cellulare durante i lavori, per evitare di distrarsi". Il tecnico di Rfi che ha dato il via libera agli operai, in lacrime davanti ai magistrati: "Non me l’avevano data l’interruzione della linea". E poi, una testimonianza dopo l’altra, l’ipotesi che si fa sempre più concreta: quello di Brandizzo non è stato un caso isolato, anche in altre occasioni è capitato che i lavori sui binari cominciassero nonostante il passaggio dei treni. Lo confermerebbe il video girato da Kevin Laganà poco prima di essere travolto, dove una voce fuori campo dice "tanto io lavoro sul pari".
Binario numero due. E il dispari? Poi la voce: potrebbe essere quella che più tardi avvertirà "ragazzi, se vi dico treno andate da quella parte. Cioè quella del tecnico Rfi Antonio Massa, che ammettendo la leggerezza è passato da testimone a indagato per omicidio e disastro ferroviario in forma di dolo eventuale insieme con il capocantiere Andrea Girardin Gibin. In procura a Ivrea prosegue la processione degli ex dipendenti della Sigifer, ascoltati come persone informate sui fatti.
Antonio Veneziano, sentito con l’ex collega Marco Buccino, dice di avere confermato quello che ha detto dal primo momento: "Si lavorava anche senza autorizzazioni. Che vadano in galera e che chiuda l’azienda". Franco Sirianni, il titolare dell’azienda, si lascia andare con Repubblica e La Stampa negando che lavorare sui binari senza nulla osta fosse la prassi. Spiega di essere stato avvisato dal direttore tecnico Christian Graci, quella notte, e di essere corso sul posto: "Era un lavoro banale. C’era la scorta di Rfi. Mentre ero in auto mi ha chiamato Andrea Gibin, il nostro caposquadra, così sconvolto che diceva frasi incomprensibili". Ha capito quando è arrivato in stazione: "Mi sono messo su quel binario. Ho visto tutto. E ho pianto". Ma toccava a lui fare nomi e cognomi, erano i suoi dipendenti: "Non trovavano i documenti degli operai, per ovvie ragioni. La polizia continuava a chiedermi i loro tesserini. Abbiamo dato degli screenshot delle patenti e delle carte d’identità. Dopo venti minuti ho parlato con il fratello di Kevin. Poi la polizia mi ha bloccato, mi hanno detto che avrebbero contattato loro le famiglie". Vorrebbe cercarle adesso, ma è riuscito ad andare solo da una "perché è sempre pieno di giornalisti".