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Il piano riguarda un migliaio di dipendenti della televisione pubblica
Milano, 3 luglio 2020 - Dopo anni di attese e di schermaglie legali sembrava essere arrivata una "luce in fondo al tunnel". Fino a quando l’emergenza sanitaria ha posto un nuovo pesante ostacolo lungo l’intricato percorso per il trasferimento del Centro di produzione Rai da via Mecenate al Portello. Nello storico polo fieristico designato per ospitare gli studios è stato infatti costruito l’ospedale per l’emergenza coronavirus.
E i lavoratori chiedono risposte sul loro futuro. "Chiediamo alle istituzioni coinvolte, in primis alla Regione, di prendere una decisione definitiva sull’ospedale – spiega Francesco Aufieri, segretario generale della Slc-Cgil di Milano – perché se non verrà smantellato allora deve essere individuata rapidamente una soluzione alternativa per il centro di produzione Rai. Sono anni che aspettiamo, e non abbiamo intenzione di tollerare altri ritardi". Tra le possibili soluzioni, già finite al centro del dibattito in passato, l’ex area Expo a Rho-Pero, ben collegata con i mezzi e già tecnologicamente avanzata. Oppure strutture come l’ex Scalo Farini. "La mancanza di una sede adeguata nelle dimensioni, nella qualità e nella tecnologia, impatta inevitabilmente sulle possibilità produttive e quindi sul peso e sull’autonomia anche editoriale della Rai di Milano, rischiando di trasformarsi, a lungo termine, in un possibile problema occupazionale - prosegue Aufieri –. Ora il tema è scomparso da qualsiasi discussione, e questo non è accettabile".
L’emergenza coronavirus e il progetto dell’ospedale hanno creato un nuovo impasse dopo che Fondazione Fiera, ente proprietario dello storico padiglione 1-2 del complesso espositivo, e il Gruppo Vitali avevano raggiunto un accordo per chiudere ogni contenzioso sbloccando una situazione di stallo sulla “Saxa Rubra del Nord”. È uno dei punti al centro di quella che i sindacalisti l’hanno ribattezzato "vertenza Milano", anche perché è in gioco il ruolo del capoluogo lombardo nello scacchiere dell’informazione pubblica, tra tagli del personale e concorsi che latitano. Sono sul piede di guerra tecnici, montatori, cameraman, assistenti, impiegati e addetti con le mansioni più varie assunti dalla tv pubblica. Lavorano dietro le quinte di telegiornali, format e programmi televisivi che ogni giorno vanno in onda sul piccolo schermo.
Poco prima che scoppiasse la pandemia avevano proclamato lo stato d’agitazione di tutto il personale non giornalistico, oltre 900 persone. Sul tavolo problemi che si trascinano da anni, a partire da quello degli organici. E i rappresentanti sindacali ieri hanno diffuso una nota unitaria nella quale denunciano alla ripartenza "l’assenza di qualunque politica aziendale Rai che contempli Milano tra le sue priorità. Nulla da fare sui numeri delle nuove assunzioni, sui processi di assessment, sulle garanzie per i settori a rischio e ciliegina sulla torta, vuoto pneumatico sulla vicenda del nuovo centro di produzione. I problemi della Rai di Milano - sottolineano - non solo sono ancora presenti, ma semmai si sono ulteriormente ingigantiti". È all’orizzonte quindi un autunno caldo, con nuove proteste e appelli alla politica.