
L’incendio in via Antonini ripreso dall’alto dai Vigili del fuoco
MILANO – In Italia “si vendevano 450mila-500mila metri quadri all’anno di pannello e l’80-90% era tutto in PE”. Lo stesso “rivestimento” che era stato installato sulla facciata della Torre dei Moro distrutta da un rogo il 29 agosto 2021 è diffuso ovunque, e “c’è una possibilità che nel caso ci sia un incendio” la stessa dinamica del disastro si replichi “anche su altri edifici”. Uno scenario allarmante che emerge da una delle testimonianze nel processo in corso a Milano sul maxi-rogo del grattacielo in via Antonini, che non ha provocato vittime ma ha lasciato senza un tetto 80 famiglie.
A parlare nei giorni scorsi, davanti al giudice della sesta sezione penale del Tribunale di Milano Amelia Managò, è C.T., che dal 2008 al 2011 è stato agente di commercio in Italia per il colosso spagnolo Alucoil (tra i 13 imputati anche due manager dell’azienda), produttore dei pannelli Larson PE usati nelle facciate “a vela” che, secondo quanto è emerso dalle indagini della pm Marina Petruzzella e dell’aggiunta Tiziana Siciliano, erano “altamente infiammabili” e in pochi istanti sono stati avvolti dalle fiamme. Pannelli scelti, secondo l’accusa, per risparmiare sui costi di costruzione.
L’ex commerciale, rispondendo alle domande della pm Petruzzella, spiega in aula di aver fatto “una statistica” personale. “Vendevo praticamente tutto PE – ha spiegato –, veniva richiesto PE (...) c’erano tanti riferimenti anche pubblici che mi chiedevano offerte che dopo si concretizzavo e quindi anche ospedali e aeroporti”.
Parlando della sua esperienza, risalente al periodo 2008-2011, spiega che il “pannello FR” in alluminio composito, di più recente generazione e progettato appositamente per le facciate, “era molto in uso in Europa perché c’erano delle normative molto severe, invece in Italia da quello che dicevano a me sembrava che non ci fosse praticamente una normativa severa. Nessuno me lo richiedeva (...) facevo le offerte anche per l’FR ma alla fine si andava sul PE. Penso per una questione di prezzo, era sempre una questione di prezzo”. A un’altra domanda della pm, risponde che “tutti i pannelli compositi in PE”, con un’anima di polietilene e un rivestimento di alluminio, come quelli che bruciarono in via Antonini 32, “non dovrebbero neanche più esistere, anzi dovrebbero essere tolti e sostituiti”.
Una considerazione in linea con gli appelli lanciati più volte dal comitato delle famiglie del grattacielo di via Antonini, ora in fase di ricostruzione e ribattezzato Torre Seta, per norme più severe sulla sicurezza degli edifici e per mettere al bando materiali a rischio. Appelli, che si sono scontrati con il silenzio e l’inerzia della politica locale e nazionale, portati avanti anche attraverso contatti con le associazioni degli abitanti della Grenfell Tower di Londra e dei condomini Campanar di Valencia, sopravvissuti a incendi dalla dinamica simile che hanno provocato morti e feriti.
Si attende ancora il primo passo, ossia quel censimento sollecitato più volte degli edifici con profili di rischio, anche a seguito dei tanti lavori spinti dai bonus edilizi che hanno trasformato le facciate. Una prima ricognizione sugli edifici rivestiti di pannelli Larson PE uguali a quelli della torre andata a fuoco nel 2021 comprende centri commerciali, sedi di aziende, porti e aeroporti, hotel, stadi e ospedali, solo per citare le strutture frequentate dal pubblico. “A che punto è il censimento di edifici dove sono presenti materiali pericolosi? Questa è la forte preoccupazione”, spiega il segretario generale della Uil Lombardia, Enrico Vizza. “Se c’è un vuoto normativo va colmato – prosegue – perché la priorità deve essere la sicurezza di chi abita nelle case e dei lavoratori che le costruiscono”.