ETTORE SALADINI
Cronaca

Palestra di vita al Corvetto: "Ragazzi che non hanno adulti. Il pugilato è una via d’uscita"

Joshua Testori allena i giovani del quartiere alla Mgm Boxe Island "Chi non può non paga, ma ci aiuta. Per capire che lo sport ha un valore".

Joshua Testori allena i giovani del quartiere alla Mgm Boxe Island "Chi non può non paga, ma ci aiuta. Per capire che lo sport ha un valore".

Joshua Testori allena i giovani del quartiere alla Mgm Boxe Island "Chi non può non paga, ma ci aiuta. Per capire che lo sport ha un valore".

Il ring come metafora della vita. Confrontarsi con l’altro, tenere la guardia alta, saper incassare, colpire e rimanere in piedi per un altro round. È questo che insegna Joshua Testori, allenatore e pugile della Mgm Boxe Island, ai ragazzi di Corvetto. Una palestra nata con l’obiettivo di dare supporto e una via d’uscita a ragazzi costretti a crescere troppo in fretta, in un quartiere dove è facile perdersi. Come nasce Mgm Boxe Island a Corvetto?

"Il progetto è nato con Cristian Bruno, fondatore di Boxe Island e mio primo allenatore. Il nostro è un legame profondo, perché abbiamo vissuto esperienze simili. Io ho trascorso buona parte dell’adolescenza tra carceri minorili, sia per problemi personali che familiari. Ho incontrato Cristian ormai quindici anni fa, quando ero solo un ragazzino, e grazie al pugilato la mia vita è cambiata. Oggi lavoriamo insieme, e l’idea di Corvetto è nata proprio dalla nostra storia".

La boxe come via d’uscita, quindi.

"Sì. Senza il pugilato non avrei saputo affrontare la vita in questo modo. Questo sport ti mette di fronte a te stesso e, allo stesso tempo, ti insegna a confrontarti con gli altri. Quando due ragazzi salgono sul ring, c’è un passaggio di anime. Il contatto fisico è uno specchio: vedi l’altro, ma vedi anche te stesso. Magari l’avversario ha problemi diversi, ma spesso più simili ai tuoi di quanto puoi immaginare".

C’è chi accusa gli sport da combattimento di alimentare la violenza.

"In realtà è tutto il contrario. Un ragazzo che entra in palestra non impara a picchiare gli altri, ma a difendersi. Non solo con i pugni, ma soprattutto con la testa. Sul ring il dolore è fisico. Nella vita è psicologico".

In che senso?

"Il pugilato ti insegna a vivere. Cosa faccio se sono in difficoltà? Scendo dal ring? Scappo? Oppure rimango anche quando sono stanco, quando non ho fiato, quando i miei muscoli cedono, quando la testa mi dice di smettere? È come nella vita. Noi cerchiamo di insegnare questo ai ragazzi: resistere, perché c’è sempre un altro round, un altro minuto. Tieni la guardia alta, muoviti, respira. Rimani in piedi".

Quali sono i problemi più grandi dei ragazzi con cui lavorate?

"Sono tanti, perché Corvetto è una realtà complessa. Ma se dovessi sceglierne uno, direi la mancanza di un punto di riferimento. Molti ragazzi non hanno un padre o una madre come modello e devono crescere in fretta. I bambini qui hanno poco tempo per essere bambini. Li vedi fare cose da grandi troppo presto, e questo crea altri problemi a cascata".

Quindi non solo allenatori, ma anche mentori.

"Siamo soprattutto mentori. I ragazzi sanno che, se hanno un problema, possono venire da noi. La palestra diventa una seconda casa. Allo stesso tempo, cerchiamo di responsabilizzarli. Per chi ha difficoltà economiche, l’allenamento è gratuito, ma abbiamo trovato un modo per farli contribuire. Perché spesso le cose gratuite non vengono valorizzate".

Come funziona?

"Chiediamo ai ragazzi di contribuire in qualche modo: sistemare i tappetini, pulire il ring, aiutarci durante gli eventi che organizziamo la domenica. Così capiscono che lo sport ha un valore e acquisiscono piccole responsabilità. Li aiutiamo a posare tanti piccoli mattoni per costruire una strada su cui muovere i loro passi fuori dalla palestra: a scuola, al lavoro, in famiglia, con gli amici".

Dalle istituzioni arriva supporto per i vostri progetti?

"Servirebbe una maggiore spinta economica e sociale, anche solo per piccoli progetti. Sono sicuro che così molti ragazzi avrebbero più opportunità, invece di restare in strada o al parchetto a farsi le canne. Non si possono salvare tutti, è vero. Ma possiamo dare a molti la possibilità di scegliere un percorso diverso da quello che, purtroppo, in certi quartieri sembra già segnato. Perché il rischio di una fine assurda, come quella di Ramy Elgaml, che, peraltro, si allenava qui con noi insieme a Fares Bouzidi, l’altro ragazzo che guidava il motorino, è sempre dietro l’angolo. E nessuno dovrebbe essere costretto a un destino del genere".

Se dovesse descrivere la boxe con una parola?

"Vita. Vita vera".