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Tutti in fila per il "Pane Quotidiano": viaggio in un’oasi di solidarietà

Da oltre un secolo l’associazione, nata a Milano nel 1898, distribuisce generi alimentari ai meno fortunati di GIUSEPPE DI MATTEO

Uno dei volontari di Pane Quotidiano

Milano, 22 marzo 2016 - Tra gli alberi di viale Toscana, a pochi passi dall’università Bocconi, si nasconde una piccola cattedrale nel deserto che crede nella solidarietà. ‘Pane Quotidiano’ è un’associazione senza scopo di lucro nata a Milano nel 1898, e si occupa delle fasce più disagiate della popolazione distribuendo loro cibo e regalando qualche istante di conforto. Ogni mattina centinaia di persone si mettono in fila. All’ingresso, una scritta bianca le accoglie in modo beneaugurante: “Sorella, fratello… Nessuno qui ti domanderà chi sei, né perché hai bisogno, né quali sono le tue opinioni”. Niente domande, aboliti i documenti, a ciascuno il suo.

La struttura si regge sulle donazioni delle grandi aziende alimentari e su contributi privati, tra i quali quello dei Lions, da sempre attivi in campo sociale, oltre che sul lavoro gratuito di un centinaio di volontari. Un esercito silenzioso, capace di ascoltare il dramma di migliaia di emarginati senza nome che negli ultimi anni si è ampliato in modo preoccupante, coinvolgendo diverse fasce sociali: pensionati, disoccupati, esodati, giovani, anziani, stranieri. “Aiutiamo almeno duemila persone al giorno - spiega Luigi Rossi, vice Presidente di ‘Pane Quotidiano’ - senza contare l’altra nostra sede di viale Monza. Cerchiamo di dare a tutti un litro di latte, 400 grammi di pane, frutta, verdura, legumi e, quando possibile, salumi e formaggi”. L'ingresso di Pane Quotidiano

Verso le nove del mattino la fila comincia a ingrossarsi. Concetta, pensionata di 70 anni, trascina a fatica il suo piccolo borsone della spesa con aria mesta. “Vengo qui da qualche anno - sospira - altrimenti non saprei come fare. Ho due figli, uno dei quali disoccupato, e con la mia pensione ce la facciamo a stento. Per fortuna, qui non mi sento giudicata”. Saluta con un cenno della mano, poi ritorna e parte decisa: “Voi giovani dovete stare attenti. Qui si rischia una guerra. Noi la miseria l’abbiamo già vista, ma una volta c’era più solidarietà”. Di tanto in tanto il vociare si fa più intenso ma non si registrano mai momenti di tensione. Un uomo sulla cinquantina si avvicina timidamente. “Mi chiamo Stefano e vengo qui da 15 anni - racconta - da quando ho perso il lavoro a causa di un’encefalite. Lo Stato mi ha riconosciuto un’invalidità del 75 percento, ma a casa di fatto non porto nemmeno 300 euro”. Occhi lucidi, ma voce scandita da una grande dignità. “Tiro avanti - prosegue - ma è dura”.

La mattinata scorre tranquilla. I volontari regalano cibo, la gente risponde con un cenno di gratitudine. Jean Pierre Bichard è un dipendente dell’associazione da tre anni e mezzo e si occupa della segreteria. “Sono fiero di essere qui - sottolinea - il calore di questa gente mi dà una grande carica. Siamo molto rispettati perché diamo qualcosa senza chiedere nulla e garantiamo l’anonimato. Qui nessuno è tenuto a dare spiegazioni. Va semplicemente aiutato. E noi cerchiamo di farlo, rimanendo aperti 52 settimane l’anno”. Di questo piccolo mondo senza grandi proclami fa parte anche l’università Bocconi. Molti studenti, infatti, per qualche ora abbandonano la ricerca accademica e vengono qui a sporcarsi le mani. Come Eugenia, 21 anni, che studia International Economics: “Lavoro qui tre volte a settimana - dice - e ne sono fiera, perché non mi rendevo conto di cosa potesse essere la povertà vera. Ho imparato a familiarizzare con tutti e ad amare le loro storie”.

Molte sono state raccolte in un volume qualche anno fa. Raccontano vite spezzate dalla miseria, fughe verso una speranza agognata, la mancanza di certezze, la dignità strappata dalla perdita di un lavoro, delusioni improvvise. Ma anche lotta contro la rassegnazione e viaggi incredibili alla scoperta del mondo. È il caso di Albino, 69enne dai modi garbati che per decenni ha preparato dolci in tantissimi Paesi, tra quali Singapore. “Purtroppo lavoravo a nero - precisa - quindi non ho maturato i diritti per la pensione. E adesso è difficile trovare un lavoro qui, ma me la cavo con la pensione sociale: 700 euro scarsi”. Vicino al magazzino di frutta e verdura un altro gruppo di volontari sistema alcuni indumenti su una grossa cassapanca. Qualcuno li prova e li porta con sé. Un furgone si ferma vicino all’ingresso e ne scarica altri. E la scena si ripete. Instancabile, come un rituale sempre uguale a se stesso. Albino fissa un momento il cielo. E avrebbe voglia di festeggiare l’inizio della primavera con un bel dolce.

di GIUSEPPE DI MATTEO