
Tanta nostalgia anni ’80 fra i paninari irriducibili che si sono incontrati a San Babila
Milano, 1 dicembre 2019 - Dicono di avere in comune non solo la passione per la marca ma per «lo stare insieme, il divertimento e l’America». I paninari ieri sono riapparsi in città, per il loro raduno invernale a San Babila. Un appuntamento da qualche anno in un luogo non scelto a caso perché è proprio lì, tra i defunti Burghy e il bar “Al Panino” di piazza Liberty, che c’era il loro punto di ritrovo fisso negli anni Ottanta. Oggi lo è solo due volte all’anno per l’incontro dal vivo che attira 40enni e 50enni non solo da Milano ma anche da Caserta e Catania. Il movimento si è ricompattato la prima volta su una bacheca online. Quando Marco Beltrami, classe 1972, con Matteo Ranzi fonda nel 2013 la pagina Facebook “Paninari, La Company” che oggi conta circa 400 iscritti.
Quando il gruppo si incontra dal vivo non passa mai inosservato perché i paninari d’antan – ieri erano una quarantina - si vestono esattamente come allora. Con il giubbotto Moncler o Scott, le cinture di El Charro, gli occhiali Ray-Ban in testa, le scarpe Timberland e le calze Burlington ai piedi. «La moda è importante come segno di appartenenza al gruppo. Soprattutto ci piacciono brand americani perché gli Stati Uniti sono il nostro mito, anche da indossare» spiega Beltrami. Una «divisa» d’appartenenza che costava cara. Partiamo dal basso. Il pezzo meno caro sono le calze a rombi delle Burlington dal prezzo di 20mila delle vecchie lire. Le Timberland d’epoca viaggiavano attorno a 300mila lire. La cintura di El Charro – 80mila lire ma se ne dovevano aggiungerne altrettante per la fibbia - aveva anche un uso ricreativo: «Quando si andava in discoteca e il disc-jockey metteva “Wild Boys” dei Duran Duran, la sfilavamo e la usavamo a mo’ di lazzo».
Per il bauletto di Naj-Oleari, la fissa delle «squinzie», c’erano 200mila lire da sborsare. Ma il vero pezzo forte era il giubbotto. La marca corrispondeva a una sorta di grado: «Appena si entrava nel movimento si era “galli” e si indossava il Moncler (360mila lire). Si diventava “gran gallo” con lo Scott che costava un milione di lire. Il “Patton” era il montone dell’Avirex (un milione e 300mila lire). Ma il paninarismo raggiungeva la sua apoteosi con il montone della Timberland. Il daddy doveva sganciare dal suo fodero 1 milione e 800 mila lire», chiarisce Emiliano Vailati che indossa il preziosissimo capo.