
Paola Ferrari
Milano, 5 marzo 2017 - Ogni domenica è seguita da quasi 2 milioni di spettatori che con lei e con «90° Minuto» non rinuncerebbero mai al «giorno del pallone», nonostante le partite siano ormai spalmate nell’arco della settimana. Paola Ferrari, giornalista e conduttrice tivù, è la prima donna ad avere conquistato il popolo dei calciatori. Il fischio d’inizio? Proprio nella sua Milano.

«Mia mamma è milanese, mio papà comasco, ma i suoi genitori erano milanesi, si erano trasferiti sul Lario per lavoro. Mia nonna era di Isola, io e i miei figli siamo nati qui. Più di così? Abitavo in Città Studi, nella casa in cui vive ancora mio papà. Ricordo la mia infanzia, la scuola, il liceo scientifico Donatelli. Da piccola mi piacevano le passeggiate in centro, in corso Monforte. Andavo al cinema la domenica in galleria. Poi vennero gli anni delle prime discoteche, il Biberon, il Nepentha di Piazza Diaz, il ritrovo con gli amici alle Colonne di San Lorenzo. Ho vissuto per tanti anni da sola davanti al Parco Sempione, giravo in vespa la città. Tutto è legato a Milano, anche il mio primo bacio».
Dove?
«Vicino a casa mia, in zona Città Studi. Ricordo gli anni spensierati, in cui tutte noi ragazzine adoravamo Fiorucci, andavamo a provare i trucchi, c’erano commesse bellissime, tutte sognavamo da grandi di fare le commesse. Ci furono anni anche difficili però, quelli della violenza politica, ricordo le manifestazioni al liceo, gli scontri, i morti. Poi vennero gli anni Ottanta, quelli della Milano da Bere, dell’Amnesia o del Plastic, il più alternativo. Vennero i grandi concerti: per Bob Marley a San Siro io c’ero».
Il suo San Siro: com’è nato il legame col mondo del pallone?
«A sei anni andavo allo stadio a tifare il mio Milan con papà; mia mamma ci metteva i giornali sotto il maglione per non prendere freddo. Quando c’era il derby andavamo 4 o 5 ore prima per trovare posto, anche sotto la pioggia. Ricordo le prime partite, il mio posto in curva, le Coppe del mondo, i festeggiamenti con la macchina davanti al sagrato del Duomo. Era un rito, poi ci sono tornata per lavoro a 21 anni, con Telelombardia, «Qui studio a voi stadio». All’inizio non volevano una donna sul campo, ma riuscii a farmi mandare a seguire una partita dell’inter con Gianluca Rossi. Da quel momento non mi tolsero più. È stata la mia seconda casa e per me è ancora lo stadio più bello del mondo, San Siro è San Siro».
Lei ha fatto da apripista a tante donne...
«Penso che quei 20 anni al freddo e quella gavetta, che forse adesso non conta più, sia stata fondamentale per riuscire a essere apprezzata in un mondo maschile. Gli anni a Telelombardia sono stati i più divertenti della mia carriera, poi vennero radio Deejay e la Domenica Sportiva, sono stato il conduttore che ha trascorso più anni lì, ben 9, tutti da Corso Sempione».
Il giocatore che le è rimasto nel cuore?
«Marco Van Basten. Persi la testa per lui, era il cigno, un interprete straordinario. Sono contenta per il nuovo ruolo che ha oggi in Fifa».
La trasmissione a cui è più legata?
«La Domenica Sportiva. Mi avvicinò Renzo Tortora per strada, fui la prima donna a condurre la trasmissione. Anche a 90° Minuto sono felicissima, pur non avendo tante partite alla domenica come prima, abbiamo share altissimi. Sono contenta di passare la domenica con gli italiani, in famiglia. E mi piace la mezz’ora in cui proponiamo i minidocufilm sui personaggi che sono nel cuore di tutti come Zoff e Baggio, l’ultimo è sui nostri giovani, come Donnarumma, che si stanno facendo valere e che sono il futuro della nostra Nazionale. I filmati sono realizzati da un altro milanese molto bravo, Claudio Valeri. Col calcio vorrei arrivare ai Mondiali in Russia nel 2018. Poi penso di fermarmi ma chissà, vedremo i progetti. E poi continuo con le mie iniziative sociali, con l’osservatorio nazionale contro il bullismo». E con il cinema.
La sua opera prima è passata anche da Venezia...
«È la mia nuova passione. Essendo giornalista ho cercato questa formula più di attualità, il docufilm. Dopo il progetto dedicato a Charles Bukowski sto lavorando a una storia sulla seconda guerra mondiale e gli italiani portati in America».
Una milanese trapiantata a Roma: com’è stato l’impatto?
«Non è stato un cambiamento facile, Roma è l’antitesi di Milano, per l’efficienza e per le distanze incolmabili. Ci sono andata la prima volta seguendo mio marito, poi per la Domenica Sportiva e la Rai. Ma a Milano torno sempre spesso, ho la mia casa, mio papà, i miei dottori. Con Expo è cresciuta tantissimo, è una città europea. Roma è una città di una bellezza meravigliosa ed è più facile per i bambini, il verde è meno sacrificato, ci sono più scuole internazionali. Milano offre tanto dal punto di vista del lavoro e del divertimento, ha fatto dei passi avanti importanti. Ho solo qualche perplessità sulle palme…».
Bocciate?
«Io a 18 anni ne ho messa una sul terrazzo, ed è morta. Dal punto di vista architettonico possono anche piacere ma il clima a Milano non è cambiato anche se c’è meno nebbia, se si esclude Linate dove mi sa che la fabbricano».