
Paolo Nespoli (Ansa)
Milano, 13 maggio 2016 - Partenza maggio 2017, destinazione Iss, la stazione spaziale internazionale: Paolo Nespoli sarà il prossimo italiano a volare nello spazio. Cinquantanove anni, nato a Milano e cresciuto in Brianza, con due spedizioni alle spalle, sarà il “veterano” dell’Expedition 53. Dopo aver trascorso 174 giorni, 9 ore e 40 minuti della sua vita in orbita, è pronto a tornarci per cinque mesi. «L’esperienza conta anche se ogni situazione è diversa – confessa –. Quando sei fuori sei mesi, “confinato”, puoi tirare fuori cose che non pensi. Bilanciano sempre l’equipaggio in modo che ci siano persone che hanno già volato e chi è alla prima esperienza. Io sarò l’unico ad averlo già fatto, avrò questo ruolo di mentore. Ma sono circondato da ottimi astronauti e colleghi. Saranno loro ad aiutare me se sarò in difficoltà. È un team». Ieri è stato ospite del Festival dell’Energia, che fino a sabato porterà a Milano una settantina di relatori chiamati a confrontarsi sul «diritto al futuro». «Nello spazio la navicella è come un polmone artificiale, il tema dell’energia è centrale – spiega l’astronauta –. Queste iniziative servono in due direzioni: da un lato permettono alle agenzie spaziali di comunicare e arrivare alla gente, facendo capire le ragioni tecnologiche, scientifiche alla base delle spedizioni. Dall’altro il fatto di interrogarsi su cosa vogliamo “fare da grandi” è uno stimolo per tutti». Dietro l’ultima missione nello spazio, in programma il prossimo anno, c’è un messaggio chiaro e ci sono nuove possibilità di lavoro per l’industria italiana con progetti importanti dal punto di vista sociale, politico ed economico. «L’Italia c’è, è presente nello spazio con tanti astronauti, stringe accordi internazionali. Stiamo tornando a essere protagonisti – sottolinea Nespoli –. Dopo una presenza buona negli anni Ottanta e Novanta c’eravamo un po’ persi. E invece dovremmo dire che lo spazio ci permette di esprimere il nostro valore tecnologico, scientifico e umano nel modo migliore. Per questo è importante che si continui a portare avanti questa strada. Dando, perché no, anche ai nostri ragazzi e ai nostri figli la possibilità di poter sognare di fare l’astronauta da grandi. Spesso ci si focalizza sulla mancanza di fondi, si taglia, ma attenzione. Questo è il futuro».
Un anno al lancio. Cosa porta Nespoli in valigia?
«Niente valigia, ti danno già tutto e ti devi adattare con quello che c’è. Puoi portare con te un volume massimo di un litro circa per un chilo e mezzo. Giusto qualche ricordo, fotografie per la mia “cameretta spaziale”, e qualche gioiellino per mia moglie e mia figlia».
Da grande voglio fare l’astronauta: è il sogno di tutti i bimbi. Lei cosa sognava?
«Ho sempre desiderato questo. Ho avuto la fortuna di essere ragazzino quando l’uomo ha messo piede sulla Luna, vedevo saltellare gli astronauti in modo strano, la jeep lunare, e mi sono detto: voglio andarci anch’io».
E ce l’ha fatta.
«Mai dire mai. Per alcuni i binari sono dritti, altri come me hanno sentieri tortuosi, ci sono cambi imprevisti e combinazioni di eventi. Ricordo Oriana Fallaci, mi ha fatto tirare fuori cose che erano lì, nascoste, da quando ero bambino. Mi ha detto: “Svegliati e datti da fare se è quello che vuoi”. Pensavo che ormai fosse impossibile, devo darle atto di avermi dato la spinta a riprendere in mano la sfida, che ho poi accettato e portato avanti, andando contro ogni statistica. Fare l’astronauta è un po’ come vincere alla Lotteria di Capodanno».
Dall’alto i problemi sono davvero più piccoli?
«Si vedono le cose diversamente. È un po’ come cercare di apprezzare la Gioconda al Louvre: se appoggi il naso contro il quadro vedi una pupilla, ma se vuoi cogliere quel sorriso enigmatico ti devi allontanare. Dallo spazio è la stessa cosa, vedi la fragilità della terra, capisci che non ci sono confini. Quando siamo dentro i problemi sembrano problemoni, non vediamo soluzioni perché non riusciamo a estraniarci».
Qual è il suo luogo del cuore sulla terra?
«L’ho cercato dallo spazio: mi ero proposto di fotografare i posti più belli per poi andarli a visitare. Mi sono trovato con una cartella speciale da 300 foto. Morale? Non sono ancora riuscito ad avere il tempo di trovarlo. Sicuramente mi trovo bene in Italia, è unica».
Marte è più vicino?
«No. Sebbene le nostre capacità siano migliorate è lontano tanto quanto 40 anni fa. Per andare su Marte occorre decidere di andarci e il programma non può durare meno di 15 anni. Ci sono problematiche tecnologiche più complesse da risolvere. Sulla Luna in una settimana vai e torni, qui parliamo di 200 milioni di chilometri di distanza. È come prepararsi per andare a suonare il campanello del vicino di casa o per andare in Australia. Non abbiamo ancora quella mentalità, serve un programma multinazionale, una missione unica di tutte le nazioni, uno sforzo tecnologico e scientifico congiunto».
Rispetto alla prima missione cosa cambierà?
«La prima missione è durata 15 giorni, è stata complessa ma veloce, sei preparato a mangiare male, puoi avere qualche screzio con i colleghi, ma per i 5 mesi sulla stazione internazionale se non diventi un extraterrestre non riuscirai mai a lavorare. Devi capire che non c’è la forza di gravità e smettere di comportarti come se ci fosse, devi cambiare dentro, metterti in discussione. E non ci si può preparare prima del lancio».