
Il pasticcere Guido Camozzi
Sesto San Giovanni (Milano), 10 marzo 2021 – In un anno meno di 9mila euro di ristori e l’ultima tranche, quella che sarebbe dovuta essere più consistente, negata per un errore dei codici Ateco. Così, Guido Camozzi, titolare dell’omonima pasticceria che ha 62 anni di vita, ha deciso di presentare ricorso contro il Governo. “Il contributo di dicembre, che doveva essere il doppio, non è mai arrivato. Aspettavamo 8-9mila euro. Mi sono rivolto all’Unione del Commercio, per un aiuto, e dai controlli abbiamo scoperto che, in base al codice Ateco inserito, avrei potuto tenere aperto. Non come negozio o bar ma come laboratorio”. Ma il laboratorio, in quei mesi, è rimasto comunque chiuso perché legato all’attività al pubblico e non indipendente.
“La nostra produzione è al dettaglio, al banco. Non produciamo per aziende o altri esercizi. Anche se avessimo realizzato torte e paste, non avremmo potuto venderle perché il bar non poteva lavorare. Due mesi fa, anche su consiglio dell’Unione, abbiamo presentato istanza, allegando scontrini e libri contabili per dimostrare la natura della nostra attività. Niente da fare, vale solo l’Ateco”. Ma il codice non è corretto. “Sono sigle che si riferiscono agli anni Cinquanta, quando la classificazione delle merceologie era diversa. Siamo iscritti in un registro regionale storico. Questo è il classico esempio di burocrazia sconnessa dalla realtà. Abbiamo presentato domanda per cambiarlo nell’attuale ‘pasticceria e gelateria’, ma fino a quando il codice non sarà aggiornato l’istanza non sarà valutata. Non nutro speranze: ci diranno che i ristori non sono retroattivi, sempre per eccesso di burocrazia”. Dopodomani, venerdì 12 marzo, sarà un anno dalla prima chiusura della Pasticceria Camozzi. “Il negozio era pieno di roba: facemmo pacchi da 4 chili e li regalammo ai palazzi vicini. Buttammo nell’umido quasi 4mila euro di merce in magazzino e di produzione a medio termine: panna, latte, cioccolato, biscotteria, derrate fresche. Solo di uova avevamo una cassa da 400”.
Nell’anno della pandemia, la bottega ha subìto “una perdita totale di 100mila euro. Per fortuna non abbiamo dipendenti e non abbiamo affitto. Ma in questa impresa a conduzione famigliare vivono tre nuclei”. E, i ristori, non hanno minimante coperto il mancato fatturato. “Il primo è arrivato subito: 4.023 euro subito più 600 euro a testa, come una tantum, per 2 volte a marzo e aprile. Dopo 4 mesi, un altro contributo da 4.023 euro. Stop”. I conti, però, si fanno anche sulle uscite. “Solo di utenze luce e gas paghiamo intorno ai 2mila euro al mese. Poi c’è la Tari. È corretto che la parte maggiore spetti non alle utenze domestiche ma al commercio perché produce più rifiuto e sul prodotto guadagna. Però c’è troppa disparità tra categorie: noi paghiamo 3.200 euro all’anno contro i 600 euro di un negozio di vestiti, ad esempio. Inoltre, il tributo dovrebbe diminuire se c'è un calo dei consumi perché produrrò meno rifiuto e perché, se sto chiuso, non posso pagare lo stesso importo”. Le tasse statali, invece, come già aveva annunciato in una lettera di protesta all’allora Premier Giuseppe Conte, Camozzi non le ha versate. “Ho saldato tutto quello che non riguarda l’attività, ho chiuso tutto il 2019 del negozio ma quelle dello scorso anno, circa 30mila euro, le ho rinviate”. Tra le uscite ci sono anche gli investimenti. “Anche in crisi e in zona rossa ci sono costi che non si sospendono. Non sappiamo nemmeno se continuerà la sospensione della Tosap per i tavoli all’esterno. E solo di arredi ho speso mille euro. Li ho acquistati da un’altra pasticceria storica, che ha chiuso definitivamente: La Lombarda di Lodi, 100 anni di attività. Anche noi abbiamo paura, perché non sappiamo quanto si potrà reggere in questo modo”.