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Strage di piazza Fontana, il sindaco Sala: "E' storia di ingiustizie, verità mai fatta"

Il 12 dicembre si celebra il 50esimo anniversario. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà presente alla seduta straordinaria del Consiglio comunale

La strage di Piazza Fontana

La strage di Piazza Fontana

Milano, 11 dicembre 2019 -  "Spesso nella storia di Milano dalla tragedia si passa alla rinascita, quello è stato un momento tristissimo. E' anche una storia di ingiustizia, di persone che hanno subito accuse ingiuste. Giustizia alla fine non e' mai stata fatta". Queste le parole del sindaco di Milano Giuseppe Sala, alla vigilia della seduta straordinaria del Consiglio Comunale in occasione del cinquantesimo anniversario della strage di piazza Fontana a cui prenderà parte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

In occasione di questa importante ricorrenza, oggi l'Aula della Camera ha osservato un minuto di silenzio ed ha tributato un applauso unanime in memoria delle vittime. "Si trattò di un gravissimo attacco alla nostra democrazia che, pur messa a durissima prova, seppe resistere, respingendo, senza rinunciare ai principi dello Stato di diritto, la violenza e il ricatto quale strumento di affermazione di visioni ideologiche e politiche. A questa dimostrazione di forza e di dignità del Paese non corrispose purtroppo un pieno esercizio di verità: depistaggi e complicità hanno per molti anni ostacolato il lavoro della magistratura, delle forze dell'ordine e delle commissioni parlamentari di inchiesta", ha detto il presidente Roberto Fico. E ha concluso: "La diffusa aspettativa di verità e giustizia non può più essere ulteriormente disattesa".

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"La madre di tutte le stragi"

Sono passati 50 anni dalla strage di Piazza Fontana, considerata la "madre di tutte le stragi" che insanguinarono l'Italia nel decennio successivo: il 12 dicembre del 1969 una bomba scoppiò in pieno centro a Milano, alla Banca dell'Agricoltura, provocando 17 morti e 88 feriti. Un'altra bomba fu trovata inesplosa in piazza della Scala e nel giro di 53 minuti altri tre ordigni esplosero a Roma, causando 18 feriti: uno alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, uno all'Altare della Patria alla base del pennone, un altro in piazza Venezia all'ingresso del Museo del Risorgimento. Erano le 16 e 37 quando la bomba esplose sotto al grande tavolo centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana, a Milano. Nella sala a cupola dell'edificio grigio ci sono un centinaio di persone; per tradizione il venerdì viene prolungato il solito orario per consentire le contrattazioni del mercato agricolo e del bestiame tra commercianti e piccoli imprenditori agricoli. Mentre si stringono mani e concludono affari, salta tutto: le lastre di marmo, le sedie, i mobili e le persone.

Nel salone ci sono uomini e donne, per lo piu' arrivati dalla provincia lombarda, col vestito buono di chi va in citta', a pochi passi dal Duomo, tra le vie scintillanti nell'attesa del Natale. Muoiono Giovanni Arnoldi, 42 anni; Giulio China, 57 anni; Eugenio Corsini, 71 anni; Pietro Dendena, 45 anni; Carlo Gaiani, 57 anni; Calogero Galatioto, 77 anni; Carlo Garavaglia, 67 anni; Paolo Gerli, 77 anni; Luigi Meloni, 57 anni; Vittorio Mocchi, 47 anni per le conseguenze dell'esplosione; Gerolamo Papetti, 79 anni; Mario Pasi, 50 anni; Carlo Luigi Perego, 74 anni; Oreste Sangalli, 49 anni; Angelo Scaglia, 61 anni; Carlo Silva, 71 anni; Attilio Vale', 52 anni. Il futuro prefetto di Roma, Achille Serra, all'epoca giovane funzionario di polizia, racconta: "Entrai, vidi quello che era successo, mi attaccai al telefono e gridai che servivano cento ambulanze. In questura pensarono che avevo perso la testa, solo dopo molte insistenze cominciarono a prendermi sul serio. Alla fine, le ambulanze che servirono furono 98". E' il 12 dicembre del 1969, il telegiornale parla del "piu' grave atto di guerra avvenuto dopo la Liberazione". Pochi minuti dopo le 17 di quel giorno, altri tre ordigni scoppiano a Roma, senza provocare vittime.Piazza Fontana diventa un 'modello' per altre stragi ( Piazza della Loggia, Italicus), fomenta le divisioni sociali e gli scontri, avvia un'interminabile ricerca della verita' tra depistaggi e processi durata 36 anni. Ad accompagnare il 50esimo anniversario sono usciti una quindicina di libri, tra saggi, fumetti e graphic novel, a testimonianza di quanto sia ancora viva la memoria.

Nel giro di 72 ore viene assicurato alla giustizia "il colpevole", quello che i giornali qualificano come la "belva umana": l'anarchico ballerino Pietro Valpreda. A riconoscerlo in un veloce confronto 'all'americana' e' il tassista Cornelio Rolandi, che sostiene di averlo accompagnato in piazza Fontana pochi minuti prima della strage. "L'e' lu'", conferma in milanese agli inquirenti, ai quali non sembra vero di avere gia' risolto il caso. La sera del 12 dicembre viene fermato anche il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, che viene trattenuto illegalmente in Questura per tre giornie sottoposto a interrogatori molto oltre le 48 ore previste dallalegge. Alla mezzanotte del 15 dicembre, Pinelli muore precipitandodal quarto piano della Questura. Il questore Marcello Guida spiega: "Pinelli era fortemente indiziato di concorso in strage. Il suo e'stato un gesto disperato, una specie di atto di auto - accusa". Valpreda viene assolto in via definitiva nel 1987, sulla morte di Pinelli viene aperta un'inchiesta nel 1971 su denuncia della moglie Licia nei confronti del Commissario Luigi Calabresi. Il giudice Gerardo D'Ambrosio nel 1975 esclude l'ipotesi dell'omicidio scrivendo che Pinelli e' morto per un "malore attivo causato da un'improvvisa vertigine", una tesi che in molti non accetteranno. In piazza Fontana ci sono due targhe per ricordare Pinelli, sulla cui figura fioriscono canzoni e opere teatrali: una riporta le parole "ucciso innocente", l'altra "innocente morto tragicamente".

Sempre quell'infinito 15 dicembre, accade che un giovane insegnante di scuola media, Guido Lorenzon, segretario di una sezione della Democrazia Cristiana, confida a un avvocato i suoi sospetti in merito slla strage su un vecchio compagno di scuola, l'editore neofascista Giovanni Ventura. Nell'aprile del 1971, sulla base delle indagini nate da quelle dichiarazioni ripetute davanti a lui da Lorenzon, il magistrato di Treviso Giancarlo Stiz firma un mandato di cattura con l'accusa di 'associazione eversiva' nei confronti di Ventura e di Franco Freda, l'ideologo di 'Ordine Nuovo', leader del gruppo che si ritrova intorno alla libreria 'Ezzelino' di Padova. La pista nera pero' non decolla anche perche' i processi agli anarchici e quelli ai neofascisti vengono trasferiti da Milano a Catanzaro dal momento che nella citta' dell'attentato "non c'e' un clima di sufficiente serenita'". Alla fine si celebra un dibattimento unico che termina il 23 febbraio 1979 con la condanna all'ergastolo, tra gli altri, per Freda e Ventura, ritenuti colpevoli della strage, degli attentati preparatori e di apologia di reato. Sembra che ci si sia una verita' giudiziaria ma due anni dopo, il 20 marzo 1981, la Corte d'Appello di Catanzaro trasforma tutte le condanne in assoluzioni, almeno in relazione alla strage. Nel 1982, la Cassazione annulla l'appello e affida un nuovo secondo grado a Bari che assolve di nuovo Freda e Ventura, condannandoli 'solo' per gli attentati che hanno preceduto piazza Fontana. Il verdetto finale della Suprema Corte arriva il 27 gennaio 1987: Freda, Ventura e Valpreda sono assolti. Anche un secondo dibattimento, a carico dei neofascisti Stefano Delle Chiaie e Massimilano Fachini, si chiude con un'assoluzione, che diventa definitiva nel 1991.

Negli anni ’90 si apre una nuova fase istruttoria, condotta dal giudice Guido Salvini e basata sulle testimonianze di figure legate all’eversione nera, a partire dall’ex ordinovista Carlo Digilio. Digilio, noto come 'Zio Otto' negli ambienti neofascisti, aveva collaborato all’esecuzione della strage occupandosi di valutare gli esplosivi utilizzati nell’attentato. Gli imputati sono gli esponenti veneti di Ordine Nuovo Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, oltre al neofascista milanese Giancarlo Rognoni (accusato di aver collaborato a vario titolo alla strage) e all’ex ordinovista Stefano Tringali, sospettato di favoreggiamento nei confronti di Zorzi.  La sentenza viene ribaltata in secondo grado con l’assoluzione dei tre imputati (Zorzi e Maggi per insufficienza di prove, Rognoni per non aver commesso il fatto). Affiora però la responsabilità di una cellula di Ordine Nuovo 'capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura' nell’organizzazione dell’attentato.

La Cassazione confermerà la responsabilità dei due nel 2005, ma l’esito dell’odissea giudiziaria è paradossale: Freda e Ventura non possono essere condannati perché già assolti per lo stesso reato nel 1987. Le indagini su Piazza Fontana si concludono così, dopo 36 anni e 10 processi, senza colpevoli "dichiarati" e una contraddizione in termini fra la verità dei fatti storici e quella giudiziaria. Sono state accertate le responsabilità dei terroristi neofascisti, ma è impossibile irrogare una condanna a loro carico. Le spese processuali vengono addossate ai parenti delle vittime.