Milano - Ci sono voluti più di 60 anni per arrivare alla verità, una vita intera. Tanto tempo ma mai troppo se si tratta di riconoscere la paternità di un’opera d'arte. Se poi l'autore in questione si chiama Pablo Picasso comprenderete l’importanza della storia che stiamo per raccontarvi. La singolarità, invece, è legata alle particolari circostanze del ritrovamento del dipinto, da pochi giorni definitivamente attribuibile al maestro spagnolo, animatore del cubismo, a epilogo di una trama degna di un romanzo ottocentesco cui manca solo un capoverso.
L’origine
L’incipit ci proietta invece nel secolo scorso, a inizio anni ‘60, quando un rigattiere di Pompei, che preferiamo mantenere anonimo, trova e raccoglie una tela arrotolata nello sgombero della cantina di una villa di Capri. Vi è raffigurato il volto scomposto e asimmetrico di una donna. In alto a sinistra c'è una firma in corsivo, “Picasso”, che al giovane rigattiere non dice nulla. Ha tra le mani un potenziale tesoro ma non lo sa. Il caso, l’intuito o forse quel gusto che non richiede studio e scienza gli suggeriscono di conservarlo. Così lo porta a casa dove la moglie, dopo averlo inquadrato in una grossolana cornice, lo appende al muro del salotto e qui resterà per quasi mezzo secolo, a vegliare su pranzi e cene di una famiglia umile, come tante altre, dove i genitori faticano e i figli studiano.
La scintilla
Ed è il figlio maggiore, ancora bambino, il primo a lasciarsi insospettire: un'immagine stampata sul libro di scuola gli ricorda l’innaturale volto del ritratto affisso in casa. Ne parla con mamma e papà. Il buonsenso impone di pensare a una banale copia ma se si trattasse proprio del Picasso di cui parla il sussidiario? Se così fosse, la vita di quella famiglia cambierebbe. Un’improbabile suggestione che sedimenta lenta nel tempo, bussando di tanto in tanto, fino a trasformarsi in urgenza di ricerca grazie ai primi favorevoli pareri di osservatori più o meno competenti. Bisogna approfondire, verificare, togliersi ogni dubbio. Bisogna cioè spendere, o meglio investire, perché le perizie necessarie costano e c’è anche il rischio di restare fregati. Ma vale la pena correrlo.
L’impegno
Così, nel secolo corrente, inizia una girandola di accertamenti che convergono sulla pista dell'autenticità: le analisi chimiche sui materiali, il confronto con altre opere, le indagini storiografiche avvalorano l’ipotesi che la tela di Capri sia uno dei molti ritratti di Dora Maar, poetessa e fotografa francese, amante e musa “privata” del genio di Malaga per nove anni, prima di essere abbandonata. Il dipinto cubista dimenticato sull'isola è collocabile tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio dei ‘50.
Imprevisti e resistenze
Mistero svelato? Nient’affatto, il gotha dell’arte esige ben altre prove mentre, in un crescendo fiabesco, la trama pone nuovi ostacoli da superare. Il primo è l’improvviso sequestro per una sospetta ricettazione, ipotesi che si sgretola ancor più velocemente, restituendo il maltolto ai legittimi proprietari. L'ultimo è il muro di gomma che alza la Fondazione Picasso. Servono alleati esperti e influenti: entra in gioco la Fondazione Arcadia, con il presidente onorario Luca Gentile Canal Marcante, appassionato d'arte e ricercatore di tesori nascosti, che prende a cuore il caso.
Il team
È lui dapprima a “ingaggiare” l’ingegnere fiorentino Maurizio Seracini, massimo esperto nelle analisi chimico-scientifiche delle opere d’arte, arricchendo con il più illustre dei pareri il già ricco fascicolo che sfoggia le consulenze di Paolo Cornale (CSG Palladio), Davide Bussolari (X Diagnostica per l’Arte Fabbri) e di Franca Vitelli (Studio Legale Vitelli) per gli aspetti collegati alla legittima provenienza.
Il dossier
Dalla datazione alla valutazione artistica, dai materiali alla “compliance”, un variegato dossier che la fondazione parigina gestita dai figli di Picasso sembra non voler vagliare. Motivo? Il padre ha prodotto più di 14mila lavori e di istanze simili ne arrivano 700 al giorno ma non cosi articolate. Il punto è un altro: nel catalogo ufficiale delle tele di Picasso c’è un quadro in apparenza identico, il Buste de femme Dora Maar.
Dubbi sull'originalità dunque? “Possono essere entrambi originali - spiega Marcante - probabilmente sono due ritratti, non esattamente uguali, dello stesso soggetto realizzati da Picasso in due momenti diversi. Di una cosa sono sicuro: quello trovato a Capri e ora custodito in un caveau di Milano è autentico”.
L’analisi grafologica
Più che un'opinione è una certezza assoluta, l'esito dell'ultima perizia eseguita sulla firma apposta e consegnata a Marcante a inizio settembre. In base alle rilevazioni sui campioni condotte a Milano da Cinzia Altieri, grafologa forense e grafologa della’arte, si conclude che “la sottoscrizione dicente Picasso sul fronte del dipinto originale Buste de Femme ritratto di Dora Maar è autografa e riconducibile alla mano del maestro mentre non vi è alcuna evidenza che ne dimostri la natura apocrifa”, cioè falsa. È l'anello mancante che chiude il cerchio, inserendo di fatto l'opera esaminata nel solco dei ritratti femminili di Picasso. Difficilmente qualcuno potrebbe contestare il lavoro svolto o fare di più.
La conclusione
“Presenteremo questo studio insieme a tutti gli altri alla Fondazione di Parigi - chiosa Marcante - affinché il dipinto possa essere annoverato tra le opere di Picasso e nel catalogo dell’autore”. Questione di forma e di sostanza, di principio e di moneta. Se da un lato l’attribuzione ufficiale dell’opera non può avere prezzo per chi ama l’arte e insegue la verità, dall’altro ne aumenterebbe il valore commerciale a dieci-dodici milioni di euro, dai circa sei attuali raggiunti grazie a tutti gli accertamenti compiuti. “Ne è valsa sì la pena” penseranno oggi gli eredi del rigattiere, ringraziando il papà che non c’è più e non solo lui.