MILANO
Alessia Pifferi, la donna di 37 anni condannata all’ergastolo, rea di avere abbandonato nel monolocale di via Parea, per cinque giorni e mezzo la sua bambina Diana, di 18 mesi, poi morta "di stenti e disidratazione", è stata animata da un "futile ed egoistico movente".
La donna ha scelto, accettando il rischio peggiore, cioè la morte della sua piccola, di "regalarsi un proprio spazio di autonomia, nella specie un lungo fine-settimana con il proprio compagno, incurante del prioritario diritto/dovere di accudire la figlioletta di un anno e mezzo".
Lo scrive la Corte d’Assise di Milano nelle motivazioni della sentenza pronunciata lo scorso 13 maggio. La bimba fu trovata senza vita il 20 luglio 2022 in un lettino da campeggio con a fianco solo un biberon e una bottiglietta d’acqua, vuoti. La donna, in aula, nel corso di tutte le udienze, ha tenuto un atteggiamento caratterizzato da "deresponsabilizzazione", accampando "circostanze oggettivamente e scientemente false", accusando il compagno di "essere stato l’artefice morale dell’accaduto". Sintomi di una "carente rielaborazione critica".
E così facendo ha commesso un reato di "elevatissima gravità, non solo giuridica, ma anche umana e sociale".Nelle 53 pagine firmate da Alessandro Santangelo, il giudice estensore, e dal presidente della Corte, Ilio Mannucci Pacini, si riporta la ricostruzione di quando, il 20 luglio di due anni fa, venne ritrovata la piccina priva di vita nel suo lettino da campeggio, con a fianco il biberon e sul mobile una boccetta di "En", un tranquillante che, la mamma assassina le avrebbe dato nelle precedenti settimane, in dosi piccole, perché non piangesse.
Oltre alla ricostruzione si riporta l’esito della perizia psichiatrica in cui si sostiene che la donna era capace di intendere e di volere. Infatti, si osserva, "per sua stessa ammissione (...) aveva certamente coscienza e volontà del disvalore della propria condotta di abbandono e della pericolosità (...) per Diana" e, quindi, è ragionevolmente certo avesse previsto i seri rischi che correva la piccola: l’ha lasciata senza una babysitter e senza le cure necessarie in un appartamento nella periferia milanese per trascorrere del tempo con il compagno che non era il padre della bimba". Per la Corte, inoltre, "non può tuttavia nemmeno sottacersi che la 36enne, abbandonando la figlia anche nei fine settimana precedenti, si era certamente resa conto delle precarie condizioni in cui la cresceva". la bimba, fra l’altro, non camminava. Per tali e altre ragioni, "non v’è dubbio che la Pifferi lasciò Diana da sola in casa, con la consapevolezza di esporla anche al rischio di morire di stenti e disidratazione".
Anna Giorgi