
Pina Cavallotti
Milano – L’uomo col quale avrebbe condiviso tutta una vita lo ha conosciuto mentre era seduta su una panchina della piazza. Quello che avrebbe potuto farla entrare in un mondo riservato a pochi lo ha incontrato, senza neppure accorgersene, mentre riempiva alcune taniche alla fontana del paese. Infine, non aveva neanche pensato di concorrere per la medaglia d’oro che invece, ormai da qualche anno, porta al collo. Se tre indizi fanno una prova, allora la storia di Pina Cavallotti, nata nel 1937 a Boscotrecase, in provincia di Napoli, sembra fatta apposta per un solo protagonista: il caso, il puro caso. Ma basta poco per rendersi conto, una volta di più, che neppure il caso è puro. E quasi mai fa da protagonista. Da spalla, piuttosto. Da complice. Nel bene e nel male. E vale anche per la storia di Pina.
Ad appena 17 anni ha scelto di andare a lavorare in fabbrica perché ha presto compreso che solo il lavoro le avrebbe consentito di non restare prigioniera del copione, di evitare la sorte che altre ragazze di Boscotrecase avevano scelto o accettato: "Io – dice Pina – non volevo sposare un compaesano. La mentalità maschilista di molti di loro non faceva per me: non volevo finire in gabbia, non volevo essere solo una donna di casa". Ed è proprio per questo, mica per caso, che Pina si troverà un giorno seduta sulla stessa panchina insieme a colui che diventerà suo marito: Gino, un marinaio venuto da Milano o un milanese venuto dal mare. "A 17 anni ho trovato lavoro a Pompei – racconta Pina – in una fabbrica di divise. Ero felice perché grazie a quel lavoro mi sentivo grande, importante. Già allora, però, in fabbrica usavano le macchine da cucire elettroniche, mentre io avevo sempre fatto tutto a mano. Non dissi niente a nessuno: temevo che non mi avrebbero preso se avessi ammesso di non saper cucire con quelle macchine". Cerca di imparare facendo. Da autodidatta. "Finché non mi sono ferita ad un dito. Era bucato, ad un certo punto non potei più far finta di niente, fui costretta ad andare in ospedale e per qualche giorno non potei lavorare". Fu allora che "sconsolata, triste e timorosa di perdere il posto in fabbrica", si sedette qualche attimo su una panchina nella piazza del paese. "E fu in quel momento che vidi arrivare in piazza una squadra di marinai. Scesero da un camion e due di loro mi si sedettero accanto".
Fu Gino a prendere l’iniziativa: "Mi chiese se potessi indicargli dove fossero le Poste perché doveva spedire delle lettere a casa, disse che era di Milano". Lui ha 4 anni più di lei. Pina lo accompagna verso l’ufficio postale finché non si imbatte in una zia: "Mi intimò di lasciar perdere quel marinaio e di tornare immediatamente a casa, altrimenti avrebbe raccontato tutto a mio padre". Pina obbedisce e fa per lasciare Gino lì dov’era. Non fu il caso a mettersi di mezzo a quel punto. Fu l’ardire di questo milanese venuto dal mare. "Non so come gli venne in mente – racconta lei – ma mentre facevamo per andarcene, lui disse a mia zia che la sera stessa sarebbe venuto a casa nostra per presentarsi a mio padre. Non lo prendemmo sul serio. Invece avremmo dovuto: venne davvero e alla fine cenò con noi. Io, disorientata, gli dissi che non si mettesse in testa strane idee, che non era il mio tipo. Mi chiese se potesse farmi visita come amico. Dissi di sì". Il 10 novembre 1956 Pina, 19enne, e Gino si sposano. "Mi sono via via innamorata del suo carattere, solare e brioso".
Insieme vanno a vivere a Rogoredo, dove Pina abita tuttora: "Allora, però, ero l’unica donna meridionale in quartiere". A Milano riprende a lavorare da sarta, Gino invece lascia perdere il mare e la vita da marinaio e si risistema come operaio alla OM, la fabbrica che produce camion. Nel 1960, però, viene licenziato: la OM deve riperimetrarsi. E Pina e il marito fanno altrettanto: "Decidemmo di usare i soldi della liquidazione di Gino per aprire un negozio a San Donato Milanese: per 20 anni abbiamo venduto frutta fresca, piante e fiori. Insieme". "Un negoziante – fa sapere Pina, ricordando quegli anni – deve essere come un prete: quello che raccontano i clienti deve tenerlo segreto". Ed è nel silenzio che Pina ha avvolto quanto le accadde un giorno del 1952: "Chissà che sarebbe stato – dice – se mio padre, quella volta, avesse detto sì a Germi". Pietro Germi, proprio così. Nel 1952 il celebre regista si trovava a Boscotrecase, già set del film “Due soldi di speranza“ di Renato Castellani. "Io non ne sapevo nulla – ricorda Pina –, avevo 15 anni. Andai alla fontana e vidi che c’era folla. Riempii le taniche e tornai a casa". E Germi tornò a casa con lei. La seguì a distanza, poi bussò alla porta dalla quale l’aveva vista entrare: "Mi aveva notato. Disse a mio padre che voleva ingaggiarmi come attrice. Mio padre gli disse che ero troppo giovane. Germi gli rispose che è da giovani che si inizia. Papà non ci sentì". Sarebbe stata una sfida vinta: lo si indovina dal carattere di Pina. Nel ’79 ha superato un tumore e per 20 anni ha fatto la volontaria all’Istituto dei Tumori: "Aiutavo le persone ricoverate ad accettare la malattia e a curarsi come si doveva".
Certi dolori, invece, restano senza cura. Per tutti. "Dio da lassù vede?" si chiede Pina quando pensa a sua figlia Miriam, morta nel 2011, a 36 anni, in un incidente stradale: "Casualità? No, altruismo: ha perso la vita di ritorno da un pub dove era andata a lavorare giusto quella sera per fare un favore ad un’amica. Miriam faceva ristrutturazioni di interni". "Dio vede?" si chiede quando pensa a Gino, venuto a mancare nel 2012: "Un tumore al fegato se l’è portato via in 4 mesi. Eravamo a San Marino, pensavamo di trasferirci lì". Invece fu nella loro casa di Rogoredo che Gino le fece l’ultimo dono: "Qualche giorno prima di morire mi disse: “Sto per andarmene, se tornassi indietro, ti risposerei di nuovo“". Al collo Pina porta l’ultima loro impresa: una medaglietta d’oro vinta alla Sestina di Rogoredo, una gara di bocce. "Non eravamo neppure iscritti, andammo come spettatori, frequentavamo la bocciofila. Prima dell’inizio della gara ci dissero che una squadra non si era presentata e chiesero a me e Gino di prendere il loro posto, di giocare insieme". Ride, ora, Pina. Una risata spalancata, stavolta sì, sul caso, sul puro caso: "Battemmo tutti".