
Archivio e quadreria del Policlinico
Milano, 14 settembre 2016 - Appena si mette piede nel salone maggiore, o “Capitolo estivo ”, e si alza lo sguardo al cielo, non si sfugge alla bellezza del soffitto, diviso in lunette, dipinto da Paolo Antonio de’ Maestri, detto il Volpino, nel 1638. Il respiro pare fermarsi, tanta la bellezza di questi luoghi, e la storia di secoli, che raccontano. La decorazione si ispira alle allegorie mariane descritte nell’antico testamento e alle litanie lauretane, con un richiamo alla dedicazione dell’Ospedale all’Annunciata. Poi, si prosegue e a destra si entra nella sala minore, detta “Capitolo d’inverno” o “Capitoletto”; è più raccolta ma non meno preziosa, con gli arredi originali, in noce, sobri, realizzata tra il 1767 e il 1770 per contenere la mole di documenti. Il rivestimento ligneo rendeva l’ambiente adatto nei mesi più freddi, più confortevole per le riunioni dei deputati.
Benvenuti nel cuore della Ca’ Granda, con un viaggio alla riscoperta dei suoi tesori nascosti, che pochi milanesi conoscono. Si parte dalle splendide sale che ospitano l’Archivio Storico, edificate nel 1637 dal Richini, affrescate dal Volpino, che ospitavano le riunioni del “Capitolo”, ossia del consiglio d’amministrazione ospedaliera che si riunì in questi luoghi fino al 1796. E si passa per la Quadreria, autentico caveau che contiene oltre mille opere d’arte, in genere ritratti dei benefattori che portano la firma di Segantini, Hayez, Giuseppe Mazzola, Mosè Bianchi, e ritraggono la borghesia milanese ma anche i "semplici", sino alla Biblioteca specializzata in testi di medicina, la più importante in Europa per i testi che vi sono raccolti. Eppure tale patrimonio è precluso ai milanesi.
L’Archivio ora compare fra i "Luoghi del cuore" da salvare per il Fai (votazione sino a fine novembre) e c’è la volontà da parte della direzione di aprire al pubblico. Ma, stima il presidente della Fondazione Policlinico Marco Giachetti, servono almeno 5 milioni di euro per rendere i luoghi accessibili ai visitatori. Così facendo, si potrebbero anche creare spazi per l’esposizione di alcune opere custodite nella Quadreria, e garantire un ricco percorso di visita che potrebbe anche collegarsi alla cripta della chiesa della Beata Vergine Annunciata. Nel giro alla riscoperta della storia della Ca’ Granda siamo accompagnati anche dal docente di Storia dell’arte dell’Università Statale di Milano, Giovanni Agosti, e dall’archivista della Ca’ Granda, Paolo Galimberti.
Ed è nella Quadreria, dice Agosti, "che scopriamo come l’aristocrazia milanese ha avuto un grande senso di generosità, e con il cuore in mano, dato vita a questa raccolta che dà una possibilità di attraversamento multiplo" nella storia del costume e della società milanese. E così si fa avanti Savina Alfieri, dama ritratta (da fotografia) da un pittore divisionista di una certa qualità, Emilio Longoni, esperto in ritratti per la borghesia milanese e nature morte, amico di Segantini; e poi si fa la conoscenza di Giulia Lucini Colombani in bianco vestita, sapientemente ritratta da Mosè Bianchi. Giulia, figlia del nobile Ignazio e di Rosa Valentini, nasce a Milano il 1 ottobre 1851. Vedova di Alessandro Colombani (uno dei soci fondatori del “Corriere della sera”), muore il 20 luglio 1893 sul lago a Regoledo. Nei suoi testamenti nomina erede universale l’Ospedale Maggiore di Milano, al quale lascia la somma di lire 350.000.
Pietro Francesco Visconti Borromeo, invece, è un gentiluomo di camera che ha rivestito alcune cariche amministrative a fine Settecento, sapientemente ritratto da Hayez, una delle tre opere a sua firma conservate nella Quadreria del Policlinico. E la Galleria dei ritratti prosegue, con persone più o meno sconosciute, sino ad incrociare un primo non ritratto, una Madonna con Bambino e Santi, di Vittore di Matteo detto il Belliniano, uno fra i maggiori pittori veneziani del ’400. Quadro che, ricorda Galimberti, è "uno fra i più antichi della collezione ed era presente nella farmacia dell’ospedale fino all’inizio dell’Ottocento".
Non poteva mancare il finale con "giallo" in questo tour artistico. "Questo è un quadro che Giovanni Testori si era convinto fosse di Velazquez - indica il professor Agosti mostrando un giovane Parravicini - e fu esposto come Velazquez nel 1981. I quadri di Velazquez, pittore di corte di Filippo IV, nelle collezioni pubbliche italiane sono inesistenti. Figurarsi la gioia! Finisce in bella mostra a Palazzo Reale. Ma solo con il proseguire della ricerca si scopre che non era quello che sognava Testori. Era, invece, di un artista di origini fiamminghe che faceva tanti ritratti, e di ottima fattura, in Italia".