
Bimbi saharawi
Milano – “La cerimonia del tè per noi Saharawi è lunga e complessa: dura tre ore e prevede altrettante fasi. Noi diciamo che il primo tè è amaro come la vita, il secondo è dolce come l’amore, il terzo è soave come la morte. O come il ritorno in patria”. A parlare, in un perfetto italiano, è Fatima Mahfud, delegata del popolo Saharawi. A lei il compito di un breve excursus sulla storia della sua tormentata regione.
Il Sahara occidentale, la Spagna di Franco e il Marocco
“Il Sahara occidentale è l’ultima colonia africana. Non c’è mai stato un processo di decolonizzazione, nonostante la risoluzione 1514 dell’Onu che nel 1963 chiedeva alla Spagna di organizzare un referendum per noi, per decidere se dovevamo essere la 53esima provincia della Spagna. Il referendum non è mai stato indetto dalla Spagna franchista. È stato invece fatto un censimento della popolazione stanziale, peccato che noi siamo una popolazione a larga maggioranza nomade. In base alle risposte delle uniche 101 persone censite (su una popolazione al 95% analfabeta) Madrid abbandonò il Sahara occidentale al suo destino e all’occupazione del Marocco, nonostante il parere contrario della Corte di giustizia dell’Aja, un parere chiesto non dai saharawi ma da Spagna, Marocco e Mauritania per avere una base giuridica che giustificasse l’occupazione. La Corte dell’Aja affermò che tra le popolazioni marocchina, mauritana e saharawi non c’è alcun legame storico o culturale, abbiamo lingua, tradizioni e istituzioni diverse, siamo tutti musulmani ma anche in questo senso usi e costumi sono profondamente differenti, la nostra è una società matriarcale”.
"Il Marocco poteva ottenere il Sahara occidentale solo con l’uso della forza, e lo ha fatto. Il nostro territorio e il nostro popolo sono stati violentati con la complicità dei governi più potenti, che sono quelli che siedono al Consiglio di sicurezza dell’Onu, creato proprio allo scopo di garantire la sicurezza e l’integrità di tutti i Paesi. La monarchia spagnola, al termine della guerra civile, “regalò” il nostro territorio a un’altra monarchia “amica”, quella marocchina, in cambio della possibilità di continuare a sfruttare le nostre risorse naturali. Ai coloni dal Marocco e dalla Mauritania fu detto: andate, occupate le case e le terre e arricchitevi, basta che non vi occupiate di politica”.
Fosforo e napalm sui Saharawi in fuga
“Il nostro popolo in fuga – ricorda Fatima – venne bombardato con il fosforo e il napalm nel silenzio complice della comunità internazionale. L’unico Paese che non ci sbattè la porta in faccia fu l’Algeria, e su un lembo del suo territorio creammo il nostro governo in esilio. Da qui non abbiamo mai smesso di batterci per il nostro popolo, soggetto a un’occupazione violenta e crudele. In una mano ha il corano e nell’altra la bandiera e migliaia di carri armati. Moltissimi italiani hanno contribuito al successo della Repubblica saharawi in esilio, che in 50 anni è diventata la seconda nazione più alfabetizzata dell’Africa. Quando l’Onu ci ha offerto un piano di pace offrendo la possibilità di autodeterminazione attraverso un vero referendum, noi abbiamo accettato. Ma quell’opportunità non si è mai concretizzata: per organizzare una consultazione popolare a Timor Est sono bastati 6 mesi, noi stiamo aspettando da 34 anni”.
Cosa succede ai saharawi rimasti in patria
“Che ne è dei saharawi rimasti in patria? Non sono solo le bombe a uccidere un popolo, ma anche la totale mancanza di libertà, di prospettive e di possibilità di reagire ai soprusi. Noi non abbiamo mai usato il terrorismo, siamo stati educati a evitare persino l’aggressività verbale. Potremmo considerare un processo di riconciliazione con il popolo marocchino, ma non accetteremo mai la monarchia: il re non lo sceglie nessuno eppure ha un grande potere, nomina e revoca qualunque mandato: come si fa a chiamare democrazia quel sistema? Malgrado tutto non rinunceremo mai alla lotta per la libertà e l’autodeterminazione del nostro popolo. E chiediamo alla comunità internazionale di ascoltare il nostro grido. Come possono l’Italia e l’Unione europea dichiarare ‘sicuro’ il Marocco, un Paese che porta avanti da 50 anni una crudele occupazione e che imprigiona, tortura e riduce al silenzio chiunque osi esprimere dissenso? Aspettiamo risposte dai governi e chiediamo solidarietà a tutte le persone giuste, democratiche e di buona volontà”.