Milano, 31 ottobre – È presidente dell’Ordine dei medici di Milano dal 2013 ed è appena stato rieletto fino al 2028, quando anche per lui scatterà, dopo quattro mandati, il limite di due della legge Lorenzin.
Contando i sei anni precedenti da consigliere, Roberto Carlo Rossi, anche leader milanese e lombardo del sindacato Snami, resterà all’Ordine più dei diciott’anni che Roberto Formigoni ha trascorso alla guida della Regione Lombardia.
Diventò presidente che l’era Formigoni era appena finita, in piena spending review. Cos’è cambiato da allora?
“Fino alla pandemia non ho visto enormi cambiamenti, se non un’erosione dell’idea di servizio sanitario nazionale universalistico. In Italia viviamo ancora una condizione di privilegio e nel panorama mondiale il nostro sistema tutto sommato regge”.
E in Lombardia, col 40% in valore delle prestazioni ospedaliere appaltate ai privati?
“Fino al 2019 si notava solo un privato che preme per conquistare pezzi di mercato, è col Covid che è cambiato tutto: la spinta sul lato informatico e burocratico ha comportato un aggravio importante del lavoro dei medici, di famiglia come me e ospedalieri, ed è cambiato l’atteggiamento dei pazienti, si è estremizzato un approccio che pretende tutto, subito e non accetta no. Un problema per il buon utilizzo del Ssn”.
Parliamo di appropriatezza, come fa da un po’ il Welfare?
“Sì ma l’errore della Regione è pensare di insegnarla a noi medici, mentre andrebbe insegnata a tutti nelle scuole”.
Ai pazienti o agli avvocati?
“La medicina difensiva è un tradimento dello spirito del Ssn, che immagina un rapporto fiduciario tra medico e paziente. Non bisogna metterli in contrapposizione. Come Ordine voglio rivolgermi non solo ai medici ma ai cittadini, garantire la qualità dell’atto medico in un sistema universalistico in cui il pubblico e il privato che gioca per il pubblico eroghino un livello di prestazioni eccellente”.
Ha seguito la polemica tra i primari dei pronto soccorso privati e la Regione dopo che Ats ha svelato che ricoverano la metà degli ospedali pubblici?
“Discorso spinoso, bisognerebbe vedere caso per caso. Credo che un professionista decida sempre nell’interesse del paziente”.
Crisi della medicina generale.
“Utenza più aggressiva, condizioni di lavoro pesanti, scarsi ritorni economici, ascensore sociale in discesa perché sui media si legge che lavoriamo tre ore al giorno...”
Le quindici ore di studio a settimana sono nell’accordo collettivo nazionale. Non sarebbe opportuno rendicontare le visite domiciliari?
“Non focalizzerei tutto sulle visite. Nessuno di noi lavora tre ore al giorno, coi nuovi metodi informatici non si finisce mai”.
Trasformare i Mmg in dipendenti del Ssn?
“Snaturerebbe il rapporto di fiducia tra libero professionista e pazienti che lo scelgono. Funzionava benissimo, oggi purtroppo siamo pochi ma non stupisce, coi problemi citati e borse di studio pagate la metà degli altri specializzandi...”
Specializzazioni tipo Medicina d’urgenza non riempiono i posti...
“I problemi riguardano anche gli ospedalieri, che ne hanno di ulteriori. Se invece di andare a prendere medici all’estero ci pagassero un po’ di più...”
Ma è solo questione di soldi? Difficile per il Ssn competere con la Svizzera...
“Non solo di soldi, ma di condizioni economiche e sociali. Basta vedere a Milano, con Area B, Area C: un assessore ci disse che se davano l’esenzione ai medici poi avrebbero dovuto darla anche ai parrucchieri”.
Senza offesa, ma il fatto che per l’Ordine voti meno di un decimo dei medici è un segnale di disaffezione?
“Nelle grandi città è stato sempre così. Io auspico che i colleghi votino, non farlo è sbagliato ma può anche palesare una certa tranquillità. Quando fui eletto la prima volta e una lista avversa candidava l’allora direttore vicario della Regione la partecipazione salì al 17%”.
Sarà il suo ultimo mandato. Cosa si augura?
“Che quando faccio una critica al Comune, alla Regione, al ministro non fosse presa come un fatto politico, ma come la posizione di un tecnico eletto dagli altri professionisti”.