
L’ex leader della Sud ha risposto in aula alle domande dell’avvocato "Andavo anche a casa di Berlusconi a parlare di calcio. Io di sinistra...".
"Non ho mai fatto soldi con la curva, i soldi li ho fatti con affari illeciti che non c’entrano nulla, con la droga. Il fondo cassa della Sud è sempre stato gestito in modo trasparente, con la società e i dirigenti ho sempre avuto buoni rapporti e all’epoca andavo anche a casa di Berlusconi a parlare di calcio". A raccontare il suo passato tra stadio e malavita in un’aula di tribunale è il capo ultrà milanista ed ex leader della curva Sud Luca Lucci, detto “il Toro“, uno dei principali imputati del maxi processo sugli arresti degli ultras scattati a settembre scorso per associazione a delinquere. In carcere da sei mesi, Lucci davanti al gup Rossana Mongiardo ha risposto alle domande del suo avvocato Alessandro Diddi e ha iniziato a parlare, dopo aver scelto il rito abbreviato, del suo ruolo di capo ultrà e della sua ascesa al vertice del secondo anello blu, affermando di non aver "mai creato danni" o problemi al club rossonero. Ha sostenuto che in curva "spesso il tifo è di destra, ma io invece sono di sinistra". E poi che lui è sempre stato "favorevole alla tessera del tifoso, da quando l’hanno introdotta". Inoltre, ha parlato di incontri e colloqui con dirigenti, di rapporti "collaborativi".
E ancora: "Anche con Galliani all’epoca parlavo spesso". E come con il Cavaliere, "parlavamo di calcio" e nient’altro. L’interrogatorio, che ha al centro anche un’accusa di tentato omicidio nel 2019 ai danni dell’ultrà rossonero Enzo Anghinelli, proseguirà nella prossima udienza il 15 aprile, sempre a porte chiuse come tutto il procedimento, tra abbreviati e udienze preliminari. In pratica, Lucci, destinatario nei mesi scorsi pure di due misure cautelari per fatti di droga dopo l’arresto per associazione per delinquere e un’altra ordinanza per il tentato omicidio, avrebbe ricondotto tutto al tifo per il Milan e alla vita da ultrà, cercando di sminuire le contestazioni. Tra le parti civili, oltre a Milan, Inter e Lega Serie A per le imputazioni sugli ultras delle curve, anche lo stesso Anghinelli, a cui spararono in testa e si salvò per miracolo.
Una quindicina gli ultras in abbreviato (tre sono a processo con rito ordinario), mentre tra gli altri filoni, davanti alla gup, c’è pure l’omicidio di Antonio Bellocco, ‘ndranghetista e componente del direttivo della Nord interista, ucciso a coltellate a settembre dal capo ultrà nerazzurro Andrea Beretta, poi diventato collaboratore di giustizia anche sull’uccisione nel 2022, ancora irrisolta, dello storico leader ultrà nerazzurro Vittorio Boiocchi. L’ex pm antimafia Antonio Ingroia, ora avvocato, assiste la moglie di Bellocco, parte civile come la madre che è al 41bis. Per Ingroia la Procura "ha usato la mano leggera nei confronti di Beretta", che ha potuto scegliere l’abbreviato, mentre "a nostro giudizio gli vanno contestate le aggravanti della premeditazione, dei motivi abietti e della crudeltà, che sono da ergastolo e con processo in Assise. A chi gli ha chiesto come possa un "paladino dell’antimafia" rappresentare i familiari di un ‘ndranghetista, Ingroia ha risposto: "Io sono ancora un simbolo dell’antimafia e questa costituzione di parte civile è molto simbolica, perché c’è una giovane donna a cui è stato ucciso brutalmente il marito, padre di famiglia, e le vicende giudiziarie che riguardavano lui non possono riguardare moglie e figli". E ancora: "Mai come in un processo del genere, in cui sono in ballo cittadini di una terra dimenticata come la Calabria, è importante dare dei segnali di ritorno di fiducia nella giustizia". An.Gi.