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Processo Frecciarossa, rinvio a giudizio per cinque imputati, non luogo a procedere per altri cinque

Il procuratore di Lodi ha chiesto il rinvio a giudizio di 5 persone coinvolte nel disastro ferroviario del 2020, tra cui 2 dirigenti di Rfi e Alstom, per risalire alla causa dell'incidente e stabilire le responsabilità.

Processo Frecciarossa, rinvio a giudizio per cinque imputati, non luogo a procedere per altri cinque

Operai e dirigenti. Ieri mattina l’ex procuratore di Lodi Domenico Chiaro, nelle vesti di pubblico ministero, ha formulato la richiesta di rinvio a giudizio nel filone ordinario del processo per il deragliamento del treno Frecciarossa Milano-Salerno, avvenuto il 6 febbraio 2020 all’altezza del “posto movimento” di Livraga, che causò la morte dei macchinisti Giuseppe Cicciù, cinquantunenne di Cologno Monzese, e Mario Dicuonzo, cinquantanovenne di Pioltello, e il ferimento di una decina di passeggeri.

Per altri cinque è stato disposto il non luogo a procedere, tra cui due alti dirigenti di Rfi e Alstom. Coloro che dovranno rispondere, dunque, di disastro ferroviario sono: un quarantaseienne program manager di Alstom, la società fiorentina che fabbricò e fornì a Rfi (Rete ferroviaria italiana) un attuatore, poi risultato difettoso, installato sullo scambio numero 5 alcune ore prima della tragedia; un trentatreenne operaio interinale di Alstom; un cinquantasettenne operaio metalmeccanico di Alstom; il direttore sessantaseienne della direzione di produzione di Rfi; e un quarantaseienne responsabile di produzione di Alstom. Due operai e il loro responsabile della formazione avevano, invece, già scelto in precedenza il rito abbreviato, con via libera del gup: per loro, la sentenza arriverà il 3 luglio.

Il nocciolo della questione è ormai noto: un attuatore uscito difettoso dall’azienda fiorentina l’anno prima del disastro fu stato installato poche ore prima del deragliamento; e l’anomalia, due fili invertiti all’interno, causarono l’incidente, in quanto il Frecciarossa “sviò” sul binario morto a quasi 300 chilometri orari nonostante fossero stati compiuti diversi test. Il processo intende risalire ben oltre l’ipotetica responsabilità dell’addetto che scambiò i fili, fino a capire chi dovesse mettere in atto tutte le procedure per non arrivare al punto di non ritorno.

Mario Borra