Milano – Finora erano stati tutti in silenzio , ma da domani tocca a loro. Nessuno degli imputati a giudizio per la strage di Pioltello (tre passeggere morte sul treno deragliato) ha sentito fino ad oggi il dovere di farsi interrogare per fornire la propria versione sul tragico incidente causato, ormai più di cinque anni, dalla rottura di un pezzo di rotaia già usurato da tempo. Gli uomini che stavano ai vertici di Rete ferroviaria italiana (Rfi), società che cura la manutenzione dei binari in tutta Italia, non hanno mai chiesto di essere sentiti dai magistrati prima del rinvio a giudizio.
Da domani però, esaurite in tribunale le audizioni degli operai e l’illustrazione delle consulenze tecniche degli esperti, la parola passa finalmente agli otto imputati di disastro colposo e omicidio plurimo colposo.
Tra loro c’è l’ex ad Maurizio Gentile, ora commissario per la sicurezza di due autostrade, e altre persone all’epoca dirigenti, dipendenti e tecnici. Ci sono il responsabile linea sud della direzione territoriale produzione di Milano e quello dell’unità di Brescia. C’è il capo della direzione territoriale produzione di Milano e il capo reparto programmazione e controllo linee sud; il responsabile della struttura operativa ingegneria della direzione territoriale e il direttore della produzione Rfi.
Un tecnico dell’azienda, all’epoca responsabile del nucleo manutentivo lavori di Treviglio di Rfi, è l’unico che ha patteggiato 4 anni di reclusione. Per la procura, quello di Pioltello fu un disastro ferroviario causato da una lunga serie di omissioni nella manutenzione e nella sicurezza, dovute alla sola volontà di risparmiare sulle spese da parte di Rfi. L’ex ad Gentile, i sette tra dipendenti e tecnici, oltre alla stessa società Rfi come persona giuridica, devono tutti rispondere a vario titolo della morte delle tre donne sul treno dei pendolari e delle lesioni riportate da decine di passeggeri.
Non si sa ancora in quale ordine gli imputati saranno interrogati a partire dall’udienza di domani, né se risponderanno alle domande dei pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti o se invece preferiranno avvalersi della facolta di tacere. Quel che è certo è che il processo, ancora nel primo grado di giudizio a più di cinque anni dal tragico deragliamento, entra nella fase che coinvolge le difese. Finora, infatti, è emersa in aula soprattutto la cronaca degli allarmi ignorati dai vertici Rfi pur se lanciati dagli addetti alla manutenzione che per mesi avevano tenuto sotto osservazione, sollecitando e attendendo invano un intervento, quel giunto in cattivo stato sopra il quale si ruppe poi lo spezzone di rotaia provocando il disastro.
L’operazione per sostituirlo era relativamente semplice, si poteva concludere "in circa tre ore e mezza di lavoro" con l’interruzione del traffico sulla linea. Ma per ritardi, lungaggini protratte per mesi e carenza di personale, non era mai stata fatta. "Per cambiare un giunto ci vogliono almeno sei o otto persone – hanno riferito ai giudici operai e tecnici – non potevamo farlo noi". Le unità "sono state potenziate" infatti solo dopo l’incidente del 2018. Ma la mattina del 25 gennaio di quell’anno, a causa del deragliamento del treno partito da Cremona e diretto alla stazione di Milano Porta Garibaldi, sui vagoni impazziti morirono Ida Milesi, Alessandra Giuseppina Pirri e Pierangela Tadini e un centinaio di passeggeri rimasero feriti.