
di Roberta Rampini
"Anche noi siamo rimasti colpiti dalle migliaia di persone che scappano dall’Ucraina per colpa della guerra e abbiamo pensato di fare qualcosa per loro mettendo a disposizione le nostre competenze in cucina". Cinquantatré anni, di origini peruviane, Josè è un detenuto della seconda Casa di reclusione di Milano Bollate. Frequenta la classe terza della sezione carceraria dell’istituto alberghiero Paolo Frisi di Milano e ieri mattina, insieme agli altri studenti-detenuti, ha preparato trenta pasti che sono stati consegnati ai volontari della protezione civile di Cinisello e portati ai profughi ucraini ospiti in città. Un esempio concreto di solidarietà che non conosce confini e che non si ferma neppure davanti alle sbarre del carcere. Un modo per riscattarsi e per contribuire, nonostante gli errori commessi, alla costruzione di un mondo più giusto. È il progetto #cèunpastoperte ideato da docenti e studenti della sezione carceraria del Frisi, in collaborazione con la protezione civile e il Comune di Cinisello. Tre le classi coinvolte: la terza e la quarta che hanno cucinato lasagne vegetali e arrosto con patate, mentre la quinta ha pensato al menù, alla lista degli ingredienti e degli allergeni e alle operazioni di etichettatura. A coordinare gli studenti il referente del progetto Guido Villa, i docenti Matteo Bulgarello, Miriana Ragusa, Alessia Frasca, Angelo Loi, Annaletizia Fortuna che da nove anni, tutte le mattine (o quasi) entrano nelle aule del carcere e nella cucina didattica del terzo reparto per insegnare ai detenuti una professione. Ai banchi oggi ci sono 60 detenuti di tutte le nazionalità: italiani, albanesi, marocchini, moldavi, cinesi, egiziani. "Quest’anno abbiamo anche 5 maturandi che una volta superato l’esame di Stato avranno il loro diploma", spiega la coordinatrice didattica La Fortuna. La scuola in carcere è uno dei tanti progetti avviati nell’istituto di pena all’avanguardia per il trattamento dei detenuti.
"Prima di arrivare qui facevo un altro lavoro – racconta Maurizio, 45 anni – quando ho saputo che c’era la possibilità di fare l’istituto alberghiero mi è sembrata una bella cosa per rimettermi a studiare e per occupare il tempo della pena in modo diverso. La scuola ci aiuta anche a non pensare e questo progetto di solidarietà mi fa sentire utile. A volte avrei voluto mollare tutto ma i docenti sono molto bravi e ci incoraggiano ad andare avanti". Per i detenuti è stato un modo per “simulare un servizio” completo lavorando in team, ciascuno secondo le proprie competenze e con senso di responsabilità. "Il progetto è una delle tante prove di come la sinergia e integrazione tra carcere e territorio funzioni molto bene – dichiara il direttore Giorgio Leggieri –. È un contributo concreto che diamo in uno scenario di guerra".