Milano – Il gruppo di ragazzi vestiti di nero avanza nella notte con i volti coperti da cappucci, sciarpe e fazzoletti bianchi. Camminano compatti. Attorno a loro il bagliore dei fumogeni, i roghi maleodoranti di rifiuti e cassonetti della spazzatura, i rottami di monopattini e i cartelli stradali divelti. Gli agenti in assetto antisommossa rispondono con i lacrimogeni alla guerriglia urbana e riescono a disperdere i settanta vandali senza nome. Che spariscono nel quartiere (tranne un ventunenne montenegrino portato in Questura e arrestato), lasciandosi dietro la devastazione: un autobus semidistrutto a sassate e bastonate, le carcasse fumanti dei cestoni della spazzatura, una pensilina in mille pezzi e il cofano di un’auto della polizia bucato da una bomba carta.
La scritta con vernice blu “Ramy vive” sulla fiancata del pullman assaltato è la firma che richiama la miccia di un incendio che forse aspettava solo un pretesto per divampare e che ora pare complicatissimo da spegnere. Per di più se a soffiare sul fuoco dovessero arrivare gli agitatori di professione, che nella zona hanno qualche avamposto: al momento, non sono state registrate infiltrazioni anarchiche, anche se un post di sostegno alla rivolta intercettato sui social lascia ipotizzare che qualcuno stia osservando nell’ombra per capire se, quando e come aggregarsi per scatenare l’effetto banlieue.
Flash dal Corvetto, estrema periferia sud di Milano. Quartiere ad alto tasso di immigrazione e di seconde generazioni. Quartiere di palazzoni popolari assediati da abusivi, degrado, spaccio e criminalità. Quartiere non troppo distante dal centro (bastano sei fermate di metrò per ritrovarsi in piazza Duomo), ma allo stesso tempo lontano anni luce dalla città-vetrina che macina record di turisti e aspetta le Olimpiadi invernali del 2026.
Lì abitava con i genitori egiziani e un fratello (gli altri due vivono al Cairo) il diciannovenne Ramy Elgaml, che domenica notte è morto nello schianto del TMax guidato senza patente dall’amico ventiduenne tunisino Fares Bouzidi in fuga da una pattuglia dei carabinieri. Una folle corsa partita otto chilometri prima in via Farini, a due passi dalla movida di corso Como, dopo aver saltato l’alt: in tasca il conducente aveva una catenina d’oro strappata, mille euro, un coltello a serramanico e uno spray al peperoncino; il che ha fatto subito pensare al bottino di una rapina (in linea con i precedenti dei due giovani nordafricani), anche se per ora non sono stati identificati i potenziali derubati. Dopo venti minuti thrilling tra rossi bruciati e contromano, lo scooter è andato a sbattere contro un muretto: per Ramy, che aveva perso il casco in precedenza, quell’impatto si è rivelato fatale.
Sin da subito, voci messe in giro dagli amici e presunte verità senza alcun riscontro investigativo (per non dire inventate di sana pianta) hanno contribuito ad avvelenare il clima e ad alimentare accuse contro le divise. L’indagine della Procura si sta concentrando sulle sequenze finali dell’inseguimento, riprese in un filmato che in realtà non scioglie i dubbi su un possibile contatto (fortuito, nel caso ci fosse stato) tra i due veicoli prima dello schianto: sia Bouzidi che il vicebrigadiere che guidava la Giulietta del Radiomobile sono stati indagati per omicidio stradale, anche in vista dell’autopsia in programma venerdì e degli accertamenti tecnici che verranno disposti dai magistrati.
I tempi non saranno brevi. Quindi incompatibili con quelli di chi ha fretta di emettere sentenze e di sfogare la rabbia repressa, approfittando di un’inattesa ribalta che in un amen trasforma le spacconate da videoclip trap in violenza vera. In attesa di rinforzi da Roma, i responsabili dell’ordine pubblico monitorano l’escalation e mappano ora dopo ora numeri e movimenti, seppur in un contesto in cui lo scenario da analizzare è molto meno leggibile del solito. Ed è proprio l’incognita di una piazza apparentemente senza leader né bandiere a rendere tutto più complicato.