Chi ti ha insegnato a fare foto così belle?
"Ho iniziato a fotografare verso i 12 anni, il mio papà amava la fotografia, poi lui è morto quando ero piccolo ma la sua macchina fotografica è rimasta con me. Era una macchina con mirino galileiano, bisognava calcolare la distanza, la luce e l’apertura dell’obiettivo. A 19 anni sono tornato in Venezuela, dove sono nato, ho comprato una macchina e ho studiato. Ai miei tempi era diverso: ogni scatto era un’attesa carica di emozioni, si aspettavano i tempi dello sviluppo per vedere la foto! Ho studiato i lavori dei grandi fotografi".
Perché hai scattato queste foto?
"Le ho scattate nell’aprile del 2020, un periodo difficile: c’era la pandemia da Covid. Eravamo chiusi in casa, ma io potevo venire a lavorare per mandare avanti la scuola; quando ho visto Milano così diversa, sola e abbandonata, ma anche in un trionfo di vita e natura, ho capito che dovevo fermarla nelle mie foto".
La mostra si chiama “Abbandono e Rinascita”, perché?
"Questi scatti raccontano che ogni volta che accade qualcosa c’è anche l’opposto. Al dolore di una città abbandonata seguiva il trionfo di una natura in rinascita. Bisogna guardare sempre le cose da due punti di vista, io provo a raccontarlo con le mie foto".
Sei soddisfatto delle tue foto?
"Sì, molto: sono come miei figli!