Milano, 6 ottobre 2024 – Alle tre meno un quarto di ieri pomeriggio tre van dell’Areu entrano in fila dal cancello dell’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano. Quasi dieci ore prima la Vulcano, nave-ospedale della marina militare salpata dall’Egitto con una sessantina di palestinesi di Gaza tra bambini e accompagnatori da curare in diversi ospedali italiani, aveva attraccato nel porto di La Spezia. Ma le tre mamme e i sei bimbi dietro i finestrini, usciti dalla Striscia attraverso Rafah, la loro casa, nel caso improbabile che esista ancora, l’hanno lasciata ormai da mesi.
Un soccorritore infila a una bimba una giacca rosa. Il fratello ha un cappellino rosso, la mamma ha in mano la documentazione medica di entrambi: cinque e sei anni, sono due dei quattro pazienti che l’Areu ha accompagnato al Buzzi. Tutti con traumi, fisici o psicologici, da guerra. Sotto gli attacchi israeliani, racconta il dottor Ahmad Saleh, partito nella notte da Vigevano per scortarli da La Spezia, i fratellini hanno perso il papà; la mamma vorrebbe chiedere asilo in Italia. Mentre vuole tornare a Gaza appena possibile, perché lì ha altri figli e un marito, la mamma del bimbo di otto anni con una grande benda sull’occhio destro e in mano i palloncini regalati al porto dai volontari della Comunità di Sant’Egidio. La terza mamma, che al pari delle altre starà al Buzzi in stanza con i figli, ha in braccio una ricciolina di quattro anni, la paziente, e attaccate ai fianchi le sorelline più grandi. La nonna, sbarcata con loro, è stata portata direttamente in ambulanza al Gaetano Pini per curare una frattura, sempre da guerra; la nonna ha 53 anni.
Ad accogliere i pazienti palestinesi sulla porta del Buzzi ci sono la direttrice dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco Maria Grazia Colombo, la direttrice sanitaria Lucia Castellani, i dirigenti del Buzzi, il primario di Pediatria Gian Vincenzo Zuccotti. "I nostri specialisti faranno subito le prime indagini e le visite per inquadrare la situazione, non conosciamo le loro patologie ancora – spiega Colombo –. Abbiamo un mediatore culturale, kit con i prodotti per le prime necessità e qualche giocattolo, ci aiuta l’associazione Obm Onlus". Dei bambini, all’arrivo, si sa "che arrivano dalla guerra".
Nessuno era annunciato come grave, nel senso dell’urgenza; quattro mini carrozzine resteranno vuote, o buone per i bagagli. Che non sono valigie: le cose che queste famiglie hanno potuto salvare sono trasportate in sacchi neri, come quelli dell’immondizia. "A Gaza il 90% delle case non sono più abitabili e nessuno può essere curato perché mancano attrezzature e farmaci essenziali – dice il dottor Saleh –. Sulla nave Vulcano sono stati coccolati, hanno trovato anche persone di origine palestinese che parlano il loro dialetto. Sono stati trattati come esseri umani, la parola “umano” per loro era sparita dal dizionario, e i bambini come bambini. Se gli fai due sorrisi ti abbracciano, hanno bisogno di molto affetto".
Ahmad Saleh ha 71 anni, si è laureato a Pavia dov’è arrivato nel 1973, ha servito per oltre vent’anni nel 118, lo chiamano “dottor Cicogna” per i bimbi che ha fatto nascere; nel 2020 fu tra i primi medici soccorritori a prendersi il coronavirus, è sopravvissuto lottando per tre mesi in terapia intensiva. È originario di Tulkarem in Cisgiordania, e a chi gli chiede quale sarà il futuro dei bambini che ha scortato al Buzzi risponde che "è la domanda del secolo. Anche io ero un bambino, avevo 14 anni quando sono partito per il Kuwait (durante la Guerra dei sei giorni, ndr ). Speravo di tornare a casa mia dopo un anno, due. Non sono ancora tornato".