
Negri In una remota estate del secolo scorso, io e un fraterno cugino ci pagammo le vacanze scolastiche lavorando...
Negri
In una remota estate del secolo scorso, io e un fraterno cugino ci pagammo le vacanze scolastiche lavorando come avventizi imbianchini. Due mesi da maldestri, peggio di Stanlio e Ollio. La ditta in cui facemmo danni era a Segrate, ma teneva succursale a Novate. Era la nostra quotidiana trasferta: trasbordo su un furgone, ma stipati nel vano posteriore, a fondo cieco, in una penombra malsana e instabile di fusti di detersivo industriale e di altri rotolanti pacchi, due volte al dì. In giro per Milano, senza poter veder altro che fessure di città, tra vertigini e nausee da astronauti della mutua, diventammo sempre più bravi a orientarci con le orecchie.
Bisogna dire che gran parte del merito, nello sviluppo di questa singolare capacità percettiva acustico-spaziale, era dovuto all’autista, un ragazzone lentigginoso la cui esuberanza trovava sfogo nello spazio protetto della cabina. L’autista seminava l’andata e il ritorno di motteggi in un certo senso semaforici, quasi sempre gli stessi negli stessi punti. Così, dopo qualche giorno era diventato facile sapere dove ci trovavamo. Non tanto per gli epiteti rivolti a ignoti automobilisti-antagonisti (tutti bollati con generici “pirla”) quanto per la torrida ricorrenza degli apprezzamenti alle passanti. Chissà, forse, ogni volta l’autista incontrava (ipotesi seducente) le medesime donne nel medesimo tratto di marciapiede e al medesimo orario. O in realtà ripeteva le sue esternazioni - quasi mai volgari, bisogna riconoscere - negli stessi punti, ma a donne diverse. In ogni caso, a noi serviva per orientarci. Così quando sentivamo il ragazzone urlare: “Uhèi, bella gnocca, va’ che ti curo”, sapevamo di essere a metà di viale Porpora. Piazzale Loreto era diventato “Se fai la brava ti sposo” seguito da risatina imbarazzata se tardava il verde prima della svolta per viale Brianza. “Vuoi uno strappo per Marte?” era piazza Carbonari mentre, “Con-quelle-belle-gambette-lì-fai-bene-a-correre” detto in un fiato, coincideva con la fine di viale Fermi. Ma dopo un mese il ragazzone fu spostato in magazzino e noi, nel vano del furgone, tornammo al buio. Perché il nuovo autista era solo un’isterica, vacua e disorientante corsia di bestemmie.