
Il questore Bruno Megale al Teatro degli Arcimboldi
Milano – Una città in costante evoluzione. La trasformazione urbanistica e la movida diffusa. Il boom dell’immigrazione e i riverberi sulla criminalità. Le richieste dei cittadini e la loro percezione del pericolo. Gli interessi radicati delle mafie e la piaga della droga, fenomeni che passano sottotraccia nel dibattito pubblico e che faticano a trovare posto nell’agenda di una politica spesso concentrata a rincorrere le emergenze del momento.
Raccontare Milano dal punto di osservazione di via Fatebenefratelli è compito che richiede esperienza, conoscenza del territorio e grande equilibrio: leggere la realtà solo attraverso la cartina al tornasole delle pur positive statistiche – che parlano di reati ancora in calo nel 2024 e di arresti in aumento dell’11% – è infatti un esercizio che rischia di lasciare per strada molti spunti di riflessione e di raccontare solo una parte della storia. E in effetti ieri mattina Bruno Megale, che all’ombra della Madonnina è diventato funzionario di primissimo livello tra il 2000 e il 2015 e che lo scorso 20 maggio ci è tornato da questore, ha affrontato in tutt’altro modo il tema “sicurezza” nel discorso agli Arcimboldi per il 173° anniversario della fondazione della polizia, inserendolo nel contesto di una metropoli che muta continuamente e che sollecita periodici aggiustamenti e repentini cambi di prospettiva per generare contromisure efficaci.
Sì, perché una vetrina internazionale che attira imprese, universitari e visitatori (8 milioni l’anno) e che è popolata per un quinto da stranieri deve convivere giocoforza con una “eccezionale mobilità sul territorio”, che, ha spiegato Megale, ha “alimentato un generale senso di insicurezza urbana, anche per l’incremento negli ultimi anni di reati quali rapine e borseggi commessi sulla pubblica via che sovente interessano proprio i turisti o gli studenti, episodi che trovano amplificazione da una narrazione ipermediata anche attraverso i social”. Conseguenza: “La quasi totalità delle richieste di intervento della comunità riguarda i controlli sulla movida e sui luoghi di divertimento, ma anche una maggiore presenza di forze di polizia sui mezzi pubblici, specie in ambito serale e notturno e nei fine settimana, una più visibile operatività nelle vie dello shopping, nei centri commerciali e nei siti a vocazione turistica”.
Le risposte: 180 pattuglie al giorno, servizi ad alto impatto e zone rosse. L’analisi dei risultati: “Il dato che balza all’attenzione è l’elevata percentuale di arresti di stranieri non comunitari, superiore al 50%, statistica che raggiunge percentuali ben più elevate per determinate tipologie di reati quali rapine, furti e spaccio”. Una riflessione che se ne porta dietro un’altra: quella sui maranza, “giovani immigrati dediti a una pluralità di reati da strada”, come ricostruito una settimana fa dall’ultima inchiesta della Mobile. Già, i maranza, finiti nel mirino delle ronde del gruppo ‘Articolo 52’, con blitz organizzati contro presunti ladri o pusher: “Nessuna forma di violenza privata può essere tollerata ed è compito delle istituzioni tutte, forze di polizia in primis, contrastare queste preoccupanti derive securitarie fai-da-te”.
Detto questo, ci sono pure altre urgenze da fronteggiare: le infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia legale (dai locali del centro allo stadio di San Siro) e la diffusione degli stupefacenti (con il ritorno dell’eroina e l’aumento delle sostanze sintetiche). Attività che necessitano di elevata preparazione investigativa, che non può prescindere da conoscenze approfondite anche nel campo delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale. “Ma oggi Milano è in grado di trattenere il personale specializzato delle forze di polizia e incentivarne la permanenza? – il quesito retorico di Megale –. Certamente no. Assistiamo a un eccezionale turn over di agenti non in grado di far fronte ai costi proibitivi della città, in particolar modo per quanto riguarda gli alloggi, problema comune con altre categorie di lavoratori”.
Quindi, l’invito, “occorre seriamente ripensare a un piano di investimenti per l’abitare sul territorio riservato ad alcune categorie di servizi pubblici essenziali, tra cui certamente le forze di polizia, prima che l’esodo porti a una desertificazione del know how e delle competenze”.