
Writer all’assalto della metropolitana
Milano – Aveva 12 anni quando con la bomboletta spray in mano realizzò il suo primo graffito illegale su un treno del metrò. Oggi di anni ne ha 38 ed è un’altra persona: con in tasca un diploma da grafico pubblicitario, lavora nel campo del design.
In mezzo c’è l’espiazione della colpa, passata (anche) attraverso attività socialmente utili a scopo risarcitorio a beneficio del Comune. Nel suo caso ha lavorato in una Rsa del Corvetto. A raccontare la sua storia è un (ex) writer che chiede l’anonimato perché “ho cambiato vita. Non rinnego ciò che sono stato ma non lo rifarei mai. Appartiene al passato”.
L’avvocato difensore Giordano Bartolomeo sottolinea che “il giudice ha riconosciuto il serio percorso di crescita” e “l’importanza della collaborazione tra istituzioni”.

Come e perché ha iniziato?
“Ero un ragazzino del quartiere Barona con un enorme disagio che esprimevo lasciando “tag“. Non avevo una famiglia che mi seguisse, passavo i miei pomeriggi da solo. Di fronte casa c’era il deposito Atm di Famagosta e ricordo che una notte, con un gruppetto di amici, mi intrufolai per scrivere. Era il 1998. Quella fu la prima di decine di incursioni. Io lasciavo solo “tag“, la firma a caratteri cubitali”.
Quante volte è stato preso?
“Una sola volta, nel 2007. Ogni volta che arrivavano gli addetti alla sicurezza scappavamo. Quella volta fui preso, in un deposito della linea rossa della metropolitana”.
Poi ha affrontato un processo?
“Sì. Ho scelto di non patteggiare. Ho dovuto risarcire Atm per i danni arrecati e in più il Comune di Milano per i danni “non patrimoniali“, d’immagine, che ho pagato lavorando, a scopo risarcitorio”.
Che tipo di attività ha svolto?
“Ho lavorato per 450 ore in una Rsa del quartiere Corvetto: facevo compagnia agli anziani, li intrattenevo con letture, li trasportavo da una parte all’altra. Con tanti di loro è nato un legame, chiedevano di me anche dopo la mia permanenza lì. Per me rappresentavano la famiglia che non avevo mai avuto. Ne sono uscito migliorato, con una nuova consapevolezza. Volevo prendere in mano la mia vita, fare qualcosa di utile”.
E ha smesso di scrivere con le bombolette...
“Già. A poco a poco ho capito che il gioco non valeva la candela. L’ho capito crescendo. Oggi sono un altro, sono riuscito a incanalare la mia creatività in qualcosa di costruttivo, perché mi occupo di progetti d’arredamento per le case. E ho cambiato quartiere: oggi vivo a Città Studi”.
Un consiglio ai ragazzi che oggi lasciano “firme“ su treni e palazzi?
“Li posso capire, spesso dietro questi gesti c’è il desiderio di comunicare la propria esistenza al mondo adulto da cui non si sentono considerati. Io posso dire loro che tutto questo si può fare anche essendo utili agli altri, facendo qualcosa di costruttivo. Un altro consiglio è: date agli adulti la possibilità di parlarvi. Datemi retta, c’è chi è in grado di ascoltarvi”.