Milano, 4 novembre 2022 - Il 95% degli abusi sessuali denunciati dalle vittime non possono neanche sfociare in un processo. Quando la denuncia arriva ad anni di distanza dagli episodi, come avviene nella maggior parte dei casi di pedofilia nell’ambiente ecclesiastico, la prescrizione del reato «crea un solco insuperabile» nelle aule giudiziarie. «L’offerta da parte della chiesa di un indennizzo di 25mila euro con il vincolo di riservatezza è un meccanismo maledetto – spiega Francesco Zanardi, fondatore dell’associazione Rete L’Abuso – il sacerdote viene lasciato a contatto con i giovani, che diventano altre potenziali vittime». Una denuncia che arriva dal Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica #ItalyChurchToo che ieri, per la prima volta, ha organizzato un incontro a Milano, in collaborazione con il Municipio 1, dando voce alle vittime per «rompere il silenzio». «Chiediamo che le vittime e le loro famiglie siano ascoltate, accolte e risarcite – si legge nel documento rivolto ai vertici della Chiesa – e che vi facciate promotori dell’eliminazione dei termini di prescrizione per gli abusi. Chiediamo di estendere anche al clero e al volontariato nella Chiesa l’obbligatorietà del certificato antipedofilia».
«Per noi, famiglia cattolica, la cosa che fa più male è trovarsi in Tribunale con la Chiesa come “avversario“, vedere l’avvocato della Diocesi che difende il prete accusato di abusi». Il calvario di Cristina Balestrini è iniziato nel 2011 quando il figlio, all’epoca 15enne, ha subito abusi sessuali da parte di don Mauro Galli, l’allora parroco di Rozzano. Un calvario che non è ancora finito, perché dopo le condanne in primo e in secondo grado a Milano la Cassazione ha annullato la sentenza disponendo un processo d’appello “bis“ nei confronti del sacerdote che dopo la denuncia fu trasferito a Legnano, ancora a contatto con i giovani. Attualmente è sospeso da ogni incarico. Cristina Balestrini, a distanza di 11 anni il caso giudiziario non è ancora chiuso.
«Ora il rischio più grosso è la prescrizione. Vorrei citare solo una battuta di mio figlio, quando ha saputo della sentenza della Cassazione: “l’ennesimo colpevole che non farà un giorno di galera“. Mio figlio era cattolico ma non frequenta più la Chiesa da anni proprio per l’atteggiamento che questa ha avuto in Tribunale, per l’assenza di giustizia. Un atteggiamento che spegne ogni speranza che tutto questo, un giorno, possa avere una fine. La speranza c’è sempre, ma è un lumicino molto piccolo. Noi, da credenti, siamo vittime due volte». Perché? «La prima perché si è subito qualcosa di devastante, e la seconda perché la chiesa non difende le vittime». Come vive suo figlio? «Mio figlio ha tentato per quattro volte il suicidio. Noi abbiamo speso tutte le nostre energie per stargli accanto. Ha iniziato a risalire quando ha preso coscienza di quello che è successo, ha cominciato a riconoscersi come vittima. Ora ha un lavoro, vive con la sua ragazza. È un sopravvissuto». Lei aveva scritto due lettere aperte all’arcivescovo Delpini. Che messaggio vuole rivolgergli ora? «Quando lo abbiamo incontrato in parrocchia ci ha dedicato 8 minuti e 35 secondi. Nessuna empatia. Ora non ho nulla da dirgli».