
I carabinieri del Ros si sono presentati all’alba di ieri per riportarli in cella, dopo la sentenza della Corte d’Appello che ha ribaltato il verdetto del gup. In cella sono tornati Giovanni Lillo e la moglie Francesca Rispoli, figlia e genero del boss Vincenzo: devono scontare rispettivamente 10 anni e 8 mesi e 4 anni, 5 mesi e 10 giorni. Stesso destino per i fratelli Michele e Giuseppe Di Novara, entrambi condannati a 8 anni di reclusione. A tutti e quattro è stata contestata pure l’aggravante del metodo mafioso.
Il verdetto emesso quattro giorni fa riguarda la spedizione punitiva a Malta per costringere un imprenditore a pagare tremila euro, uno degli episodi contestati nel secondo tempo dell’inchiesta Krimisa che tra 2019 e 2020 ha smantellato la locale di ’ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo. Secondo quanto emerso dagli accertamenti dei militari del Nucleo investigativo di via Moscova, coordinati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Cataldo Pantaleo, Lillo e i fratelli Di Novara raggiunsero l’isola del Mediterraneo alla fine di gennaio del 2020 per farsi pagare da un costruttore edile le prestazioni in nero nei suoi cantieri. Il raid finì con un violento pestaggio, come emerso dalle intercettazioni telefoniche: "Amore, sono andato al bowling stasera, ho fatto strike", il cinico resoconto di Lillo alla moglie rimasta in Italia. "Ferite da trauma, perdita di più denti, abrasioni alla schiena, ematoma al lato sinistro del capo, frattura della dodicesima costola, sospetta frattura composta della decima costola, leggero pneumotorace lato sinistro", il crudo bollettino medico dell’Hospital di Msida, dove la vittima si recò quella sera per farsi curare.
In primo grado, il gup aveva derubricato il reato da estorsione a esercizio abusivo delle proprie ragioni (procedibile solo su querela di parte); in secondo grado, però, i giudici della Terza sezione penale hanno condiviso la linea del pm della Dda Alessandra Cerreti, sostenuta in aula dall’avvocato generale di Corte d’Appello Lucilla Tontodonati, e accolto in pieno l’impianto accusatorio costruito attorno alle indagini dell’Arma. Nicola Palma