
Il presidente del Senato Ignazio La Russa e il sindaco Beppe Sala ai giardini Ramelli
Milano – “L’epoca in cui Sergio Ramelli è stato vilmente e barbaramente assassinato, nella velocità convulsa dei tempi che stiamo vivendo, rischia di venire dimenticata, come un po’ tutto il canone storico, la cui memoria persino il sistema educativo non riesce a garantire in modo completo”. Parole del sindaco Giuseppe Sala, contenute nel libro “Il ragazzo che non doveva morire. L’omicidio Ramelli e cinquant’anni di ferite“ (Castelvecchi) scritto da Federica Venni, giornalista di Repubblica.
L’intervento del primo cittadino, posto in conclusione del saggio con il titolo “Democrazia, un antidoto alla follia ideologica“, rimarca che “non c’è giustificazione storica né ideologica a quanto successo” a Ramelli, il 18enne militante del Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile del Msi) che il 13 marzo 1975 venne aggredito sotto casa, in via Paladini, a colpi di chiave inglese da esponenti di Avanguardia operaia e morì dopo 47 giorni di agonia, il 29 aprile 1975. Ai “cosiddetti reducismi”, di destra e di sinistra, “che rimpiangono l’ingaggio ideologico che si consumò a quei tempi – continua il sindaco – mi viene da opporre i risultati sociali del percorso democratico e di progressiva pacificazione che c’è stato e non smette certamente di essere in corso”.
Pacificazione, già. Quella invocata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal presidente del Senato Ignazio La Russa, che, intervistato dalla Venni, spiega: “Pacificare non significa annullare le differenze, tra colpe e meriti. Ecco, forse il termine più appropriato, ora che ci rifletto meglio, è storicizzare, più che pacificare. Se noi invece, come accade ad esempio in alcune fiction (“M“ di Sky?, ndr), vogliamo leggere il passato per sostenere argomenti che servono a condizionare il presente, secondo me sbagliamo. La memoria è giusta, l’asservimento della Storia è sbagliato”.
“Il ragazzo che non doveva morire“ si concentra anche sulle commemorazioni di Ramelli degli ultimi anni, in particolare sui cortei dell’estrema destra neofascista che si concludono sempre con il rito del “presente“, cioè con i saluti romani per ricordare “il camerata caduto”. Certo, La Russa (nel 2022 anche Giorgia Meloni) e gli esponenti di FdI ogni anno ricordano Ramelli ai giardini di via Pinturicchio dedicati al giovane ucciso, così come fa il sindaco Sala, che però non indossa la fascia tricolore. Venni chiede al presidente del Senato se FdI non debba mostrare una più netta presa di distanza dai cortei dell’estrema destra.
Ma La Russa rilancia la palla nel campo avversario e indirizza un messaggio proprio a Sala: “Guardi, io non vado a quella cerimonia (il corteo neofascista, ndr) perché tengo molto, invece, a quelle istituzionali, come quella che si fa ai giardini di via Pinturicchio, a cui partecipa anche il sindaco. Io credo che, quando le cerimonie istituzionali saranno più rappresentative e partecipate, con un sindaco che viene convintamente indossando la fascia tricolore e non senza, e ci viene perché la memoria di Sergio Ramelli è una memoria di tutti e ricordarlo non è un obbligo, sarà più facile convincere i ragazzi a venire a quella cerimonia senza bisogno di farne un’altra a parte. Fino a quando questo non avverrà, io onestamente non mi sento di condannare chi oggi, attraverso il ricordo di Ramelli, si sente confortato nella sua scelta politica. Si sente parte di una comunità”. La Russa, però, aggiunge che la cerimonia del “presente“ “è diventata un po’ troppo militaresca. Sembra quasi un’occasione per mostrare i muscoli e questo non mi piace”.