MILANO – Non ci sono regole d’ingaggio scritte, anche se l’obiettivo è chiaro e dettato pure dal codice penale: far desistere il fuggitivo da un comportamento pericoloso per sé, per chi gli sta dietro e per gli altri utenti della strada. Come farlo rientra nelle tecniche operative delle forze dell’ordine che ogni giorno pattugliano le strade. Con una premessa: bisogna evitare collisioni con il veicolo inseguito e allo stesso tempo tra le macchine inseguitrici. Per farlo, è prioritario comunicare continuamente la propria posizione ai colleghi della centrale operativa, così da dare anche la possibilità di predisporre posti di blocco lungo la possibile direzione della macchina o della moto che sta scappando.
È proprio grazie a quelle informazioni via radio che l’equipaggio della gazzella con dashcam (non in dotazione ma di proprietà del capopattuglia) accelera attorno alle 3.45 del 24 novembre in via San Marco, sperando di intercettare il TMax che ha saltato l’alt cinque minuti prima in via Monte Grappa e che sta arrivando da largo La Foppa. La telecamera mostra la macchina che supera l’incrocio con via Solferino e i fanali dello scooter che si avvicinano contromano da via Moscova: all’incrocio con via Lovanio, entrambi i veicoli sterzano (la gazzella a sinistra e il TMax a destra con qualche secondo di anticipo) e vanno a sbattere l’uno contro l’altro; l’urto avviene a velocità non elevata, tanto che il motorino quasi si appoggia sul cofano della macchina e riparte dopo un leggero sbilanciamento dei due a bordo.
“Vaffa... non è caduto”, il commento di uno dei militari sull’auto che in quel momento diventa la prima delle tre inseguitrici. La corsa prosegue in largo Treves, in via Pontaccio e in via Fatebenefratelli (contromano), e da lì in piazza Cavour, via Manin, viale Città di Fiume, Bastioni di Porta Venezia e viale Majno. In viale Bianca Maria, la dashcam registra altre parole: “Chiudilo, chiudilo, chiudilo ché cade... no, non è caduto”: non sono rivolte al collega che gli sta di fianco né a uno di un’altra macchina, ma al conducente (che non può sentire) di un veicolo bianco superato a destra dal TMax. Una scena simile si ripete prima dell’incrocio tra viale Regina Margherita e via Besana: il motorino si infila tra un taxi e una macchina rossa parcheggiata e poi svolta all’improvviso a destra. La gazzella frena in ritardo ed è costretta a fare retromarcia, venendo superata dalle altre due.
In via San Barnaba, Ramy perde il casco su un dosso. Il TMax non si ferma: via Sforza, corso di Porta Romana, corso di Porta Vercellina e via Ripamonti. Dopo via Pasinetti, la Giulietta guidata da un vicebrigadiere di 37 anni si ritrova vicinissima. Una telecamera frontale riprende i veicoli attaccati: si toccano? Forse. Il motorino continua dritto verso l’incrocio con via Quaranta, tallonato dalla gazzella: forse Bouzidi vuole andare a sinistra, ma il filmato di un altro occhio elettronico (quello comunale di via Solaroli) mostra che il TMax taglia la curva senza impostarla, con la Giulietta ormai a pochissimi centimetri e coi freni già pinzati dall’autista per non andare a sbattere.
La perizia dell’ingegner Domenico Romaniello dovrà stabilire se in quel punto, alle 4.03 e 38 secondi, ci sia stato un urto e se abbia inciso sulla successiva scivolata dello scooter che risulterà fatale a Ramy. Pochi secondi dopo, ecco spuntare la seconda macchina. La terza è attardata: quando arriva la notizia che il motorino è caduto, uno commenta “Bene”, senza conoscere le circostanze dell’incidente né le condizioni di Elgaml. Sulla scena, i carabinieri sono sei: il vicebrigadiere finisce sotto accusa per omicidio stradale in concorso con Bouzidi, mentre due colleghi vengono indagati per depistaggio e favoreggiamento per aver costretto un testimone a cancellare un video; agli ultimi tre, solo perquisiti, vengono sequestrati i telefoni. Nessuno di loro risulta sospeso, in attesa di accertare i fatti.