Milano, 17 gennaio 2025 – Ore 4.03 e 40 secondi del 24 novembre, siamo in via Quaranta. Il TMax guidato dal ventiduenne tunisino Fares Bouzidi si è appena schiantato contro il cordolo di un’aiuola: il conducente è a terra, fatica a muoversi. Il passeggero, il diciannovenne egiziano Ramy Elgaml, è lì a un metro: dopo l’impatto col palo del semaforo, poi abbattuto dalla Giulietta dei carabinieri che tallonava la moto, il corpo è rimasto immobile davanti alla macchina, come dimostrano i residui della pelliccia sintetica del giubbotto repertati su targa e paraurti.
Dopo la caduta
È in quegli istanti che gli equipaggi impegnati nell’inseguimento comunicano alla centrale operativa che i due, partiti alle 3.40 dalla zona di corso Como dopo aver ignorato l’alt, “sono caduti”. Alle 4.04, nei secondi successivi, parte la chiamata al 118: sono gli stessi operatori che coordinano da remoto le pattuglie del Radiomobile ad avvisare l’Areu attraverso un canale diretto.
Dall’altro capo del telefono arrivano rassicurazioni sull’invio immediato di ambulanze e auto mediche e la richiesta di essere contattati dai militari che si trovano sul luogo per avere una descrizione più precisa. Uno dei carabinieri chiama l’Areu alle 4.07, con i mezzi di soccorso già in viaggio da alcuni minuti, spiegando all’interlocutore che un collega, il vicebrigadiere di 37 anni poi indagato per omicidio stradale, sta già praticando il massaggio cardiaco a Elgaml, che verrà dichiarato morto dopo il ricovero al Policlinico.
Bouzidi finisce prima al San Carlo e poi al San Paolo: resterà in coma farmacologico per alcuni giorni, per poi essere sottoposto a un intervento alla mandibola; nella cartella di dimissioni, agli atti dell’inchiesta, si parla di positività al Thc, principio attivo della cannabis, e alle benzodiazepine.
Il “caso” della targa
In via Quaranta arrivano i ghisa per i rilievi: l’analisi dei filmati di due telecamere dà conto di
un probabile contatto laterale tra i veicoli lungo via Ripamonti e non nei metri finali della fuga. Lo scooter non presenta particolari danni, specie se consideriamo l’impatto col marciapiedi ad alta velocità: ci sono i segni sulla fiancata destra vicino alla staffa della marmitta, riconducibili all’eventuale urto prima dell’incrocio, e quelli sulla parte posteriore sinistra, legati all’impatto con un’altra gazzella dei carabinieri in via Lovanio.La parte posteriore è quasi intatta. Compresa la targa. Quella targa che i militari non sono mai riusciti a dettare interamente alla centrale durante gli otto chilometri di fuga del TMax: se escludiamo le prime due lettere della sequenza alfanumerica (pronunciate in una comunicazione concitata avvenuta all’altezza di corso di Porta Vigentina), la sigla identificativa completa del mezzo è stata inoltrata via radio solo dopo la caduta.
I commenti della politica
“Come dice il padre di Ramy, non dobbiamo andare addosso ai carabinieri. Ci sono quelli che sbagliano e quelli, la maggioranza, che fanno le cose giuste. Nel caso di Ramy, i carabinieri hanno sbagliato – ha detto ieri il sindaco Giuseppe Sala a Rtl 102.5 –. Hanno fatto un inseguimento notturno di venti minuti, e in ogni caso quelle parole sono inaccettabili”.
Il riferimento è alle conversazioni registrate dalla dashcam di una delle macchine, in particolare all’esclamazione “Bene” in risposta alla frase “Sono caduti”, pronunciata da chi in quel momento non era a conoscenza delle circostanze in cui era avvenuto l’incidente né delle condizioni di Bouzidi ed Elgaml. “ I carabinieri hanno consegnato tutti i video, altri valuteranno quello che è successo – ha spiegato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi alla trasmissione tv Dritto e Rovescio –. Io ho difficoltà a concepire un inseguimento, modalità operativa che è consentita e in certi casi prescritta alle forze dell’ordine, che si possa svolgere senza inseguimento. Si deve mettere al primo posto il fatto che non ci si sia fermati all’alt. Il primo fattore che può evitare la condizione di pericolo per se stessi e per gli operatori è fermarsi all’alt”.