Cinisello Balsamo (Milano), 28 agosto 2024 – Rania Shenouda negli ultimi anni ha fatto avanti e indietro dall’Egitto. Un tirocinio nel suo Paese per diventare gastroenterologa e, in Italia, il lavoro come guardia medica. Poi a febbraio la chiamata dall’Asst Nord Milano: "Siamo senza medici di base, c’è un incarico temporaneo nella Casa di comunità".
Com’è stato l’inizio?
"Turbolento. Questa è la mia prima esperienza in questo ruolo. Ho lavorato in Rsa e come guardia medica. I pazienti erano arrabbiati perché erano rimasti senza punto di riferimento, non sanno se io resterò o arriverà un altro collega. Cambiare medico è drammatico, è come ricominciare da capo".
Quanti pazienti ha ereditato?
"Circa 1.400 su un massimale di 1.500. Quando sono arrivata, non c’era neanche la segreteria e non c’era chi prendesse gli appuntamenti: avevo la coda fuori dalla porta di decine di persone, per tutto il giorno".
Come si gestisce una mole simile?
"Telefono, WhatsApp e messaggi. A ogni ora. Vengo un’ora prima e vado via un’ora dopo il mio turno. La sera preparo le ricette e vedo le analisi. È un lavoro non stop. Anche i pareri richiedono tempo: ogni paziente ha esperienza e storia diverse".
Serve sicuramente una grande vocazione, altrimenti chi glielo fa fare?
"In realtà, quando ho iniziato non l’avevo. Ho sempre detto 'Mai la medicina generale’. Lo dicevo anche a mio marito, che fa il dermatologo e finalmente fra breve mi raggiungerà in Italia. Non mi piaceva il lavoro in ambulatorio, non volevo chiudermi lì dentro. Poi in Egitto stavo facendo un tirocinio di specializzazione in gastroenterologia".
E adesso?
"Ora ho deciso che questo è il mio futuro. Ho completamente cambiato idea. Ho imparato che non bisogna dire ‘mai’ senza prima provare sul campo".
A cosa si deve questa rivoluzione di pensiero?
"Ho scoperto il valore alto di questa professione. Tu sei il primo medico con cu il paziente decide cosa fare. Hai a carico spesso un’intera famiglia. Molti per me oggi sono come nonni e zii".
Come si crea un’intesa simile con 1.500 pazienti da seguire, visitare, vedere?
"Dando tempo, ascoltando, non trattandoli come numeri in serie. Non dedico mai meno di 20 minuti a paziente in ambulatorio. Ogni giorno non ne incontro mai meno di 15. A volte sono anche 25. Si va oltre il proprio turno. La comunicazione è importantissima. Dieci minuti in più possono dare un beneficio di anni al paziente, che non deve sentirsi solo ma sapere che qualcuno si sta occupando di lui. Dopo la visita deve sentirsi meglio almeno a livello psicologico. Deve sentire che siamo insieme ad affrontare una malattia, anche se è una patologia semplice".
La sua esperienza, da paziente, è stata questa?
"Mi hanno salvato la vita qui in Italia, dopo un parto molto complicato. Per questo incarico, sono stata chiamata dalla dottoressa che era in pronto soccorso quando sono stata portata d’urgenza. Ho imparato tanto dai medici dell’ospedale. Ho imparato che dobbiamo essere sempre migliori per il paziente e che dobbiamo apprendere da tutte le figure, anche dagli infermieri. Ho imparato anche a resistere. ‘Se hai scelto fare il medico, hai il potere di far stare bene l’essere umano’, mi è stato detto una volta".
A 29 anni quali sono i suoi programmi?
"Ho passato le prove di lingua italiana. Quella di grammatica è stata tosta. Voglio passare il concorso, per diventare un bravo medico di base con un incarico fisso".