Milano – La truffa per impossessarsi con l’inganno di orologi di pregio e criptovalute. La ritorsione immediata per quell’imbroglio a cinque zeri, con annesso sequestro di persona per ottenere la restituzione del maltolto. La denuncia dei genitori dei rapiti. E il blitz dei carabinieri per arrestare i responsabili.
Come in un film
Sono gli elementi più significativi del rocambolesco rapimento-lampo andato in scena giovedì in un appartamento di via Magolfa a Milano, a due passi dal Naviglio Grande. Un raid che per fortuna si è concluso senza gravi conseguenze per i tre fratelli nel mirino, di cui uno minorenne, che se la sono cavata con qualche contusione e un passaggio in pronto soccorso.
I tre in manette sono tutti residenti in un paesino di duemila abitanti della provincia di Nuoro: a San Vittore sono finiti D.S, incensurato di 30 anni, il coetaneo pluripregiudicato M.M. e il fratello di quest’ultimo, D.M di 31 anni, pure lui sconosciuto agli archivi delle forze dell’ordine.
E proprio dalla Sardegna sono partiti apposta per farsi giustizia da soli e ottenere il risarcimento del presunto raggiro avvenuto nei giorni precedenti.
Antico e moderno
Di più. La zona dell’isola da cui provengono, la Barbagia, lascia sullo sfondo una suggestione: che i protagonisti dell’agguato abbiano applicato alla lettera le regole secolari del "codice barbaricino", che in sostanza prescrivono la vendetta fai-da-te per un torto subìto. La storia, secondo quanto ricostruito dal Giorno, inizia nel pomeriggio di due giorni fa, quando un quarantaquattrenne e la moglie di due anni più giovane, entrambi pregiudicati, si presentano nella caserma di un Comune dell’hinterland e denunciano ai militari che i loro tre figli (due dei quali già noti alla giustizia nonostante la giovanissima età) sono stati sequestrati: l’uomo aggiunge di aver ricevuto attorno alle 16 la telefonata di uno dei rapitori, che gli ha chiesto 120mila euro in bitcoin in cambio della liberazione degli ostaggi; una richiesta reiterata più volte nel corso della giornata, con minacce esplicite di fare del male ai ragazzi in caso di mancata consegna del malloppo in monete virtuali. La chiamata è stata fatta con lo smartphone di uno dei fratelli: forse gli aggressori sono convinti che i loro interlocutori non faranno denuncia.
L’inchiesta lampo
A quel punto, i carabinieri avviano le indagini, riescono verosimilmente a risalire alla cella che ha agganciato il telefono e arrivano davanti a uno stabile di via Magolfa, dove gli isolani hanno prenotato una stanza in un bed&breakfast.
Alle 23.30 scatta l’irruzione: i militari mettono in salvo i sequestrati, immobilizzati con nastro adesivo, e ammanettano i rapitori improvvisati, portati in carcere d’intesa con il pm di turno in attesa dell’udienza di convalida davanti al gip.
I tre fratelli, invece, finiscono al pronto soccorso dell’ospedale di Legnano: due vengono visitati, medicati e dimessi rispettivamente con tre e sette giorni di prognosi; il terzo, che ha riferito di aver subìto alcuni colpi alla testa, viene tenuto in osservazione per monitorare l’evoluzione del quadro clinico. A valle dell’intervento nel palazzo sui Navigli, prendono il via gli approfondimenti investigativi per chiarire il quadro all’interno del quale è andato in scena il sequestro e per individuare il movente di un’azione tanto fulminea quanto sgangherata.
Il “pacco” e la vendetta
Dai primi esiti dell’indagine, che dovranno essere confermati nei prossimi giorni, viene fuori che i sardi sarebbero stati truffati dai tre fratelli, che li avrebbero "alleggeriti" di cronografi di pregio e criptovalute senza dar loro in cambio il corrispettivo in denaro, mettendo in atto una tecnica spesso utilizzata negli scorsi anni e che quasi sempre ha garantito l’impunità ai colpevoli.
Stavolta, però, i "fregati" hanno deciso di vendicarsi per conto loro. Così, almeno stando a quanto emerso finora, avrebbero affittato l’appartamento di via Magolfa e attirato lì con una scusa i ragazzi. Poi li avrebbero malmenati, bloccati con lo scotch e derubati dei duemila euro che avevano nelle tasche.
Quindi è partita la richiesta di soldi ai genitori, che però si sono rivolti ai carabinieri e hanno messo fine al giovedì da incubo.