Milano - “La cosa più brutta di questo episodio è il fatto che ero così felice di trascorrere una mattinata intera con mio nipote, e invece è stato costretto a subire e vedere tale violenza nei miei confronti”.
Ore 9.55 del 24 luglio scorso, siamo in via Bianca Ceva. Matteo (nome di fantasia) è arrivato 48 ore prima dalla Sardegna per trascorrere qualche giorno di vacanza insieme a figlia, genero e nipotino di 2 anni. Dopo una sosta al bar per fare colazione, nonno e bambino si incamminano verso un parchetto: “Venivamo sorpassati da due ragazzi, che mi sembravano un po’ sospetti, ma poi non gli ho dato peso e ho continuato nella stessa direzione”. Pochi metri dopo, però, i rapinatori entrano in azione: uno in particolare, il diciannovenne marocchino Ibrahim Ashtoti, si avventa sull’uomo e gli stringe un braccio attorno alla gola per depredarlo di una collana d’oro, per poi scappare con un complice.
Le indagini dei militari del Nucleo investigativo, guidati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Fabio Rufino, partono dall’analisi dei filmati registrati dalle telecamere della fermata Bisceglie del metrò, che hanno immortalato il passaggio in banchina dei due cinque minuti prima del raid: Ashtoti indossa una maglia nera, pantaloncini e un berretto tipo baseball griffato Gucci. Passano 18 giorni, e nelle banche dati delle forze dell’ordine compaiono le foto segnaletiche del diciannovenne, fermato il 12 agosto a Ospedaletto Lodigiano e portato a San Vittore dalla polizia per una rapina avvenuta otto giorni prima a Forte dei Marmi.
L’abbigliamento corrisponde a quello dell’aggressore di via Bianca Ceva, così come i tratti somatici; senza contare che tra le 9.40 e le 10 del 24 luglio il suo cellulare ha agganciato le celle telefoniche che coprono la zona compresa tra via Sella a Corsico e via delle Forze Armate a Milano. Per il gip Mattia Fiorentini, non ci sono dubbi sui gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Ashtoti, che si è visto recapitare in cella l’ordinanza di custodia cautelare in carcere giustificata dal pericolo di fuga e dall’elevato rischio di recidiva.