Milano, e a ruota la Lombardia, si confermano ai vertici nazionali del costo della vita, altrettanto vero però che il reddito procapite di entrambi, a differenza del costo della vita Istat che è cresciuto di oltre il 15%, è rimasto praticamente invariato per il lavoro dipendente, mentre è più difficile valutare quello del lavoro autonomo, che, sovente viene svolto sotto forma di società di capitali e/o di persone.
La differenza tra introiti e uscite sembra inesistente se si esamina il complessivo, grazie all’enorme giro di affari che ruota intorno alla Milano del lusso e alla molteplicità di una classe dirigente che è hai vertici dei redditi nazionali e sovente ai pari livelli dei più alti dell’intera Eurolandia. Ben diversa è la situazione consumi medi di ogni genere, che sono in un assestamento continuo verso il basso, dovuto a un potere d’acquisto che si è risicato ben più delle differenze nominali Istat e che, per alimentari e largo consumo, ha superato complessivamente il 20%.
A fronte di questo quadro è quindi difficile per la grande maggioranza dei residenti di Milano continuare a viverci. Cosa possa invertire la rotta è assai difficile pronosticarlo. Sicuramente non la crescita degli stipendi, che in molti casi ha già beneficiato dei rinnovi contrattuali nazionali, per altro con l’aggiunta di una tantum dovuta al ritardo del rinnovo che ne ha aumentato il reddito, né tanto meno a che i prezzi subiscano una discesa di almeno 10 punti, a cominciare dalle locazioni i cui immobili di residenza nella maggioranza dei casi non sono di proprietà dell’inquilino, così come seppur diminuito sostanziosamente il costo dell’energia rimane ben superiore a quello ante invasione russa in Ucraina. C’è quindi un rischio di arrivare a uno spopolamento non solo delle periferie, ma anche del secondo centro, nei quali è diminuita perentoriamente la presenza dei negozi di vicinato, a causa di un’insostenibilità di un costo della vita inadeguato al reddito.