
Enrico
Ruggeri*
Negazionista? Mai. Penso, però, che anche in una pandemia grave come questa non ci si può proibire di vivere per la paura di morire. Colpire la cultura, cinema, teatro, concerti, è una scelta fortemente restrittiva delle libertà individuali. Tutte le dittature della storia hanno iniziato dicendo che comprimevano le libertà per il bene della gente. Nessuno mette in dubbio i dati del contagio, ma non mi sembra che per fronteggiare il problema in Germania o Danimarca facciano un decreto al giorno cambiando ogni volta le regole. E poi vale più la salute o la libertà? Per secoli si è pensato che valesse di più la libertà. Vorrei ricordare che tra il ’57 e il ’60 in Italia c’è stata un’influenza asiatica che ha fatto molte più vittime del Coronavirus. E il paese è andato avanti lo stesso. Mi sembra che attorno al Coronavirus sia cresciuta una psicosi mondiale. Il nuovo Dpcm ha scatenato da parte della cultura una marea di appelli alle massime cariche istituzionali, ma è quarant’anni che ne firmo e il risultato è stato modesto. C’è un disinteresse totale per il mondo della musica e per i suoi lavoratori. Ricordo ancora la volta che ci appellammo al Governo perché l’Iva sui dischi era al 12% e sui libri al 4% chiedendo una riduzione in quanto prodotti culturali parificabili. Fummo ricevuti tra promesse, strette di mano e foto, ma una settimana dopo l’Iva sui dischi stava al 14%. Il Governo è venuto incontro al mondo della musica introducendo il bonus-concerti, ma si tratta di un provvedimento-tampone. La situazione è difficile, ma io mi ostino ad andare avanti con la mia vita. Sono uno che anche durante il lockdown si radeva e si vestiva tutte le mattine impegnandosi per almeno sei ore al giorno; ho scritto pezzi, prodotto l’album del mio amico Massimo Bigi, ritoccato il nuovo romanzo che fra un po’, Covid o no, manderò in libreria. Posso, infatti, concepire una vita senza guadagno, ma non senza lavoro.
*Cantante e scrittore