
"È importante sentirsi uniti. La famiglia del teatro è una grande famiglia", racconta Isa Traversi, coreografa, regista e danzatrice didatta. "Più che alle polemiche credo nel resistere insieme con disciplina, tutti insieme per proporre soluzioni, prassi, prospettive".
Ha letto il Dpcm? Cosa ne pensa?
"Non comprendo appieno la scelta del presidente del Consiglio. Detto questo, credo che in un momento tanto grave dobbiamo essere uniti e pacifici più che mai, evitando polemiche: stiamo vivendo una dolorosa emergenza, il virus circola e nessuno sa quando finirà".
Coreografa, regista, danzatrice, didatta. Come ha vissuto quest’anno?
"L’assenza di lavoro si è trasformata in nostalgia continua del palcoscenico. Sento la necessità di quell’impegno vorace che in un attimo si trasforma in una specie di “ustione celeste“ condivisa col pubblico. Gli artisti hanno spesso la percezione preziosa che li porta a essere fedeli a quella cosa senza nome per cui sentono di essere nati: sono tenaci merlettai della propria gioia di vivere. Il talento, o anche solo la predisposizione al lavoro dell’arte, va costantemente alimentato, costruito ogni giorno. Siamo abituati al sacrificio, sappiamo resistere alla frustrazione, all’incertezza, alla non considerazione; abbiamo imparato a vivere nella precarietà economica. La nostra vita è il nostro atto artistico, ma c’è un limite al di là del quale resta solo sconforto".
Come sarà il futuro del teatro dopo la pandemia?
"Non vedo in giro grandi idee: l’unica alternativa pare lo streaming, non si può esaurire con stereotipi la carenza di creatività. Questo è palese: il vizio all’autoreferenzialità, all’iperattivismo narcisistico, lo stare in arcione del potere di pochi a qualsiasi costo. L’arte non lascia scampo all’autocompiacimento. L’artista non è un esibizionista, ma uno che si umilia nell’ascolto della voce del mondo".
Dai suoi esordi com’è cambiato il mondo del teatro?
"Per molto tempo ho creduto nell’unione di tutte le arti. Alla fine degli anni Settanta, il clima artistico era molto fertile, vivace: nonostante fossi una ragazzina, istituzioni importanti davano voce al mio lavoro, sentivo che era possibile realizzare un personale universo poetico, forse c’erano più visioni, altre teste, altre stature. Ora nell’aria circolano poche idee, meno reali necessità artistiche, più rincorse al potere".
E gli spettatori?
"Una piccola allieva del mio Laboratorio Danza – che ha resistito con tenacia, lo sottolineo, a difficoltà di ogni tipo per decenni– un giorno mi ha detto: “Maestra, stanno arrivando gli "aspettatori“. Ecco, mi pare che gli “aspettatori“ siano meno passivi e sempre di più partecipi all’antico rito del teatro, nato molti secoli fa per aiutare la gente a vivere. Il teatro è la patria di tutti, esperienza collettiva e stimolo alla vita di ognuno, indizio per interpretare il presente, farmaco per una società smarrita e luogo per ritrovarsi e incoraggiarsi in situazioni difficili. Non dimenticate, noi siamo sempre qui".
Grazia Lissi