Sono stati revocati gli arresti domiciliari per Fares Bouzidi, il tunisino amico di Ramy Elgaml, il diciannovenne morto nell’incidente del 24 novembre tra via Ripamonti e via Quaranta. Il ventiduenne Bouzidi, alla guida dello scooter che si è schiantato mentre era inseguito dai carabinieri, dovrà solo presentarsi due volte alla settimana dalla polizia giudiziaria, accanto alla casa dove abita la sorella e dove risiede anche lui. Lo ha deciso ieri la gip Marta Pollicino, che ha sostituito la misura cautelare in una meno afflittiva sia per motivi terapeutici sia perché ritiene che si siano affievolite le esigenze cautelari.
Il giovane è stato da poco dimesso dal San Paolo, dov’è stato ricoverato per alcuni giorni per essere sottoposto a un intervento chirurgico al volto. Nell’interrogatorio davanti al gip, Bouzidi ha raccontato di aver "avvertito una botta, un urto, una spinta da dietro" nella fase finale della fuga. Secondo la sua versione, al termine dell’inseguimento iniziato in viale Monte Grappa, ci sarebbe stato un impatto tra la Giulietta del Radiomobile e il TMax da lui guidato, con a bordo anche Elgaml. "Non ho perso io il controllo, ho sentito questa spinta da dietro e poi siamo volati", avrebbe detto il ragazzo. "Questo mi ricordo – ha proseguito – poi mi sono svegliato in ospedale". Ha negato, inoltre, che i carabinieri avessero intimato l’alt in zona corso Como.
"Non c’è stato un alt. Sono scappato, ma non da un alt. Ho incrociato la macchina, avevo paura perché non avevo la patente e sono scappato e loro sono venuti dietro, ho accelerato e loro ancora dietro. Poi c’è stato l’urto, la spinta da dietro". Il ragazzo è stato poi arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Quella sera per lui e Ramy, secondo la versione del ventiduenne, era stata una serata normale, di divertimento, prima della fuga.
Un altro aspetto emerge dal verbale: "Durante l’inseguimento, sperava di poter rallentare e fermarsi per permettere a Ramy di scendere, anche se non si era accorto che l’amico aveva perso il casco". Bouzidi, indagato anche per omicidio stradale in concorso col vicebrigadiere al volante della prima macchina inseguitrice, "non ha saputo dire se ci siano stati altri urti durante l’inseguimento di 8 chilometri, non ha saputo ricostruire con certezza: lui si ricorda questa ultima botta da dietro, quella spinta forte in avanti". Una dinamica dell’incidente ora al centro della consulenza disposta dal pm Marco Cirigliano. An.Gi.