PIERO LOTITO
Cronaca

Il nuoto, il Palazzo, i romanzi e Milano. "Qui si vive da cani, si lavora da Dio"

L’ex campione Riccardo Targetti, procuratore aggiunto e giallista

Riccardo Targetti, classe ’52, davanti al Tribunale

Milano, 2 novembre 2016 - Lo sport, la magistratura, la narrativa. Una vita da campione, quella di Riccardo Targetti, cominciata nel 1971 a 19 anni col titolo italiano dei 200 sl di nuoto e proseguita l’anno seguente con la partecipazione alle Olimpiadi di Monaco, funestate dall’attacco terroristico contro gli atleti israeliani. Campioni si rimane, e Targetti, che oggi ha 64 anni, lo dimostra anche in magistratura: procuratore aggiunto al Tribunale di Milano - dopo una ventina d’anni trascorsi a perseguire reati finanziari (più d’un giornale ha titolato su di lui "il magistrato più temuto dalle banche italiane") -, oggi il suo gruppo, composto d’una decina di sostituti, si occupa di rapine, estorsioni, reati patrimoniali. E ora, il terzo talento: la scrittura, tra saggistica giudiziaria e narrativa, con quest’ultima che prende sempre più corpo. Già autore di quattro romanzi gialli nei quali la sua esperienza di magistrato inquirente dipana drammatiche e appassionanti vicende (il quarto, “L’ultima via d’uscita”, è ambientato nella soffocante Italia fascista del 1936), Targetti sta ora pensando a un romanzo su vicende “minime” inquadrate nella grande storia milanese delle Cinque Giornate.

Una categoria, quella dei magistrati, che già scrive molto: sentenze, motivazioni, atti vari…

"La prosa giudiziaria è spaventosa. È il linguaggio d’una casta che mostra di non avere un grande interesse a farsi capire da chi ne è fuori. Sta cambiando, ma finora è stata così. Del resto, è un tratto comune ad altre professioni, tutte assimilabili a corporazioni medievali".

E lei, che scrive romanzi, quale prosa giudiziaria produce?

"Ho riflettuto sulla necessità di cambiare stile negli atti giudiziari proprio dopo aver scritto narrativa: ho l’obbligo di farmi capire, senza per questo sottrarmi alle regole della materia, si capisce".

Oggi anche nei libri si ha percezione d’un sovraccarico: l’incombenza della magistratura nella società.

"Il mistero e l’inchiesta sono sempre stati al centro dell’interesse generale. Il sovraccarico è in parte dovuto al vuoto della politica. Noi ci siamo entrati e ci siamo sovraesposti, finendo coll’essere visti come vendicatori o nemici. E questo è sbagliato. La verità è opinabile, bisogna ricostruirla col massimo margine di sicurezza".

Milano è città da romanzo?

"Vi ho ambientato il mio ultimo libro, che però affonda nel passato: altrimenti, non sarebbe stato elegante. Milano è una mini-metropoli, un mondo sufficientemente piccolo perché i suoi racconti coinvolgano tutti. È una città misteriosa, che non esclude ma include, e questo rende possibile impiantarvi tutte le storie».

Dove le piace andare?

"Amo molto il quartiere attorno a via XX Settembre, via Boccaccio, la stazione Nord: vi ho vissuto parte della mia vita e ne ho scritto. Mi piacciono poi le ore del mattino, quando Milano si mette in moto. È bello. Si può anche fare una battuta dicendo che Milano è una città dove si vive da cane, ma si lavora da Dio".

Dal punto di vista del magistrato è una città sicura?

"Relativamente sicura, nel senso che non ha quartieri terribili e quartieri tranquillissimi. Con un po’ di attenzione, ci si può muovere senza rischi. Certo, non si può andare in giro sventolando una parure, manifestando la propria ricchezza. È ben illuminata e i mezzi di trasporto sono a livello europeo. Si potrebbe aumentare il numero delle volanti: il lampeggiante blu in mezzo alla gente trasmette sicurezza".

Lei se ne occupa: si parla molto di reati contro gli anziani.

"Reati vergognosi su persone deboli, fragili, cui si porta via un pezzo di dignità. C’è chi dice: “Se mi hanno fatto questo, vuol dire che non sono più buono a niente” e finisce col non avere più stima di sé. È l’aspetto peggiore".

Il periodo fascista, esplorato allo spasimo dagli storici, è ancora poco frequentato dai narratori. Lo ha scelto anche per questo?

"Per la narrativa è un terreno ancora vergine: pensiamo a una società oppressa dalla dittatura, e quindi ci sembra non offra spazio a libertà. Ma non è che vi fossero soltanto fascisti da una parte e non fascisti dall’altra. C’erano sfumature. Mio padre Lodovico, del 1902, era uno scapestrato: nel ’19 si iscrisse al partito fascista e a 18 anni partì per Fiume nell’armata di D’Annunzio. Poi, al ritorno, ha capito e ha cominciato a crescere, fino a far parte del Cnl, il Comitato di liberazione nazionale".

Quando trova il tempo per scrivere?

"Un po’ la sera, ma soprattutto d’estate, durante le ferie. Quel po’ di tempo libero quotidiano lo dedico alla famiglia: mia moglie Silvia insegna al liceo classico e mi corregge le bozze; accompagno mia figlia Elena all’Università, e attendo le telefonate dell’altro figlio, Enrico, che studia cinema a Los Angeles. Ogni tanto, nei momenti belli, vado a fare una nuotata alla piscina “Targetti” di Rozzano (intitolata al padre del magistrato, ndr)".

Cosa rappresenta per lei il nuoto?

"La salvezza. Da ragazzo ero privo di volontà, di ambizioni, senza coscienza di me e dei miei valori. Il nuoto mi ha dato una disciplina, mi ha fatto capire che se hai un traguardo, puoi farcela".

Un ex olimpionico come vede l’ostilità del sindaco di Roma per i Giochi 2024?

"Male. Mi rifiuto di pensare che non si voglia affrontare una meravigliosa esperienza per paura della corruzione. Questa era anzi l’occasione per far bene le cose".

Ci sono esempi noti, come Carofiglio e De Cataldo, ma qual è l’atteggiamento dei magistrati verso il collega che scrive romanzi? Lei com’è visto nel Palazzo?

"Nessuno è profeta in patria. Alcuni apprezzano, altri si mostrano supponenti, come se la narrativa non fosse cosa importante cui dedicarsi. Tendo perciò a separare i due mondi: nel Palazzo, come lei dice, prescindo dall’esperienza letteraria".