Sono saliti a un centinaio i rider ammessi come parti civili, per gli eventuali risarcimenti danni, nel processo a carico della manager di Uber Eats (sospesa) Gloria Bresciani. Accusata di caporalato a seguito dell’inchiesta del pm Paolo Storari che aveva portato pure al commissariamento, il 29 maggio del 2020, della filiale italiana di Uber. Amministrazione giudiziaria revocata lo scorso marzo dai giudici della Sezione misure di prevenzione dopo il riconoscimento del percorso "virtuoso" intrapreso dalla società. Ierii nella seconda udienza del dibattimento, dopo che in fase di udienza preliminare e poi all’inizio del processo in corso avevano chiesto di entrare in totale oltre 60 rider, si sono presentati come parti civili altri 35 fattorini, che fanno le consegne di cibo a domicilio. E, rappresentati da una serie di legali tra cui l’avvocato Giulia Druetta, sono stati tutti ammessi dal giudice della nona penale Mariolina Panasiti. Una ventina erano anche presenti in aula, mentre all’esterno del Palazzo di Giustizia si è svolto un presidio con una cinquantina di lavoratori.
Come emerso dall’inchiesta del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf, i rider venivano "pagati a cottimo 3 euro", "derubati" delle mance e "puniti" con decurtazione dei compensi se non stavano alle regole. Era in quei rapporti anfibi che si creavano le condizioni nelle quali — secondo quanto disvelato — migranti da Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh, richiedenti asilo e dimoranti in centri di accoglienza straordinaria, "pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale", venivano "pagati a cottimo 3 euro a consegna, indipendentemente dalla distanza da percorrere, dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria".
Lo scorso ottobre era arrivata la prima sentenza di condanna per caporalato relativa proprio allo sfruttamento del lavoro dei ciclo-fattorini. Il gup Teresa De Pascale al termine del giudizio abbreviato inflisse una pena di 3 anni e 8 mesi e il pagamento di una multa di 30 mila euro a Giuseppe Moltini, uno dei responsabili delle società di intermediazione coinvolte nell’inchiesta. Altri due imputati erano stati condannati (2 anni e 1 anno e 6 mesi) ma solo per reati fiscali. La gup decise anche di convertire il sequestro di circa 500mila euro in contanti, disposto durante le indagini, in un risarcimento da 10mila euro a testa per i 44 fattorini entrati nel procedimento come parti civili e da 20mila euro per la Cgil.