Milano – Con la città svuotata crollano gli ordini per il food delivery. Per i rider milanesi questa è la stagione più difficile dell’anno. Con lo zoccolo duro di residenti e dipendenti in vacanza, si possono attendere anche ore in estate perché compaia un avviso sul cellulare dalla app. Così vanno a picco pure i guadagni. “Ai nostri sportelli si sono rivolti ciclofattorini che fra giugno e agosto, facendo poche consegne, portano a casa solo 40 euro al giorno lordi, anche se non bisogna generalizzare” puntualizza Andrea Bacchin, funzionario di Nidil Cgil Milano. Per ovviare al calo di servizio c’è chi si ricicla come trasfertista nelle località di mare, interessate invece da un picco di richieste, a causa della presenza dei vacanzieri. “Un’opportunità possibile però solo per alcune app e se si possiede una certa anzianità di servizio” dice Mario Grasso, funzionario della Uiltucs nazionale. “Altri, soprattutto stranieri, ne approfittano per ritornare nel loro Paese ma, non essendo dipendenti, non esistono ferie retribuite” aggiunge.
La platea dei rider in città è diminuita quest’anno anche prescindendo dalla riduzione del servizio in estate. Nel 2020, in piena pandemia, si stimava che fossero 3mila a Milano. Quest’anno è plausibile che ne siano rimasti attivi “2.500, anche se numeri ufficiali non ce ne sono” precisa il sindacalista della Cgil. I motivi di questa contrazione sono diversi. Dopo l’esplosione del mercato in pochi anni, con una fortissima accelerazione durante il periodo pandemico, il business del food delivery sta attraverso una fase di assestamento. Fra il 2022 e il 2023 hanno detto l’addio al nostro Paese Gorillas, Getir e Uber Eats.
“La generosità del mercato del venture capital sembra più un retaggio del passato. L’aumento dei tassi di interesse può avere bloccato l’attività dei fondi. Da qui la decisione delle piattaforme di concentrare le proprie risorse finanziarie solo nei Paesi che garantiscono velocemente l’utile” ragiona Bacchin. Una seconda causa riguarda il regime fiscale: “L’aliquota è ridotta al 5% nei primi 5 anni per chi avvia una nuova attività, poi sale al 15%, l’impatto è diverso, e qualche fattorino può essersi domandato se il gioco valga la candela”.
Esiste però un serbatoio di manodopera a cui la gig economy può attingere fra richiedenti asilo o stranieri in attesa di permesso di soggiorno che hanno bisogno di poter dimostrare di poter contare su una certa forma di reddito. “Le consegne in bici sono un’opportunità che attira diversi migranti, perché non richiede grandi qualifiche e neppure la conoscenza della lingua italiana. Attrattiva è pure la possibilità di fatturare anche 3mila euro al mese, lavorando dal mattino alle 2 di notte. Sono però condizioni inaccettabili: è un meccanismo dannoso che si ripercuote sulla salute dei lavoratori” precisa Bacchin.
A proposito di condizioni di lavoro ci sono stati più annunci che cambiamenti di sostanza. Il parlamento europeo ha approvato la direttiva sui lavoratori delle piattaforme digilali che dovrebbe favorire la firma di contratti subordinati. “Per quel che riguarda l’Italia avevamo avviato una trattativa con Assodelivery per un nuovo contratto collettivo ma si è arenata” precisa Grasso. Di conseguenza il lavoro di molti rider continua ad essere quello di sempre: collaborazioni autonome, niente salari orari, e pagamenti in base al numero di consegne.