PAOLO VERRI
Cronaca

Milano, l'ex magistrato Robledo: "Toga addio, faccio il manager"

L’ex pm di Milano alla Sangalli, travolta in passato dallo scandalo su rifiuti e tangenti

Alfredo Robledo

Milano, 16 gennaio 2019 - Da magistrato a manager. Dopo 40 anni di servizio e decine di inchieste anticorruzione condotte con successo, Alfredo Robledo ha lasciato la magistratura per passare all’imprenditoria. L’ex procuratore aggiunto di Milano, che lavorò su casi come i fondi della Lega, gli appalti di Expo, Google, banche e derivati acquistati dal Comune di Milano, alla fine del 2018 ha deciso di abbandonare la toga e di rimettersi in gioco. Da ieri ha assunto la presidenza dell’impresa Sangalli, seconda società privata d’Italia che si occupa, con 1.100 dipendenti, di servizi ambientali e che in passato è stata coinvolta in un’inchiesta per corruzione. «L’anno scorso Sangalli ha ottenuto il rating massimo dall’Anticorruzione di Raffaele Cantone, cioè tre stelle per la legalità», sottolinea Robledo, che avrà «un ruolo di garanzia». Protagonista di uno scontro con l’allora procuratore di Milano, Edmondo Bruti Liberati, nel 2016 fu trasferito dal Csm a Torino in veste di giudice, per poi tornare a fare il pm. Quest’estate Palazzo dei Marescialli non l’ha confermato nelle funzioni semidirettive. E contro questa scelta ha fatto ricorso al Tar e alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ritiene ammissibile il ricorso.

Quanto ha inciso tutto ciò nella sua decisione?

«Nell’ultimo anno in Procura a Torino mi sono occupato dell’ufficio Affari dell’Immigrazione e di un altro compito amministrativo e quindi non sono più riuscito a fare indagini come in passato. Non mi trovavo più a mio agio. Come dice l’Ecclesiaste c’è un tempo per tutto. Io ho capito che il mio tempo in magistratura era finito».

Una situazione anomala.

«Ho resistito per un po’, ma poi ho deciso di lasciare, a due anni dalla pensione: non riuscivo più a fare il mio lavoro come ho sempre fatto».

Perché lavorare proprio con la Sangalli?

«Ho avuto diverse proposte e più di una interessante. Ho accettato perché questa azienda ha avuto la capacità di rialzarsi. La seconda generazione ha deciso di continuare e ha adeguato la società ai criteri di massima legalità, tanto che hanno ottenuto il rating delle tre stelle dall’Anac. Ora i conti sono in ordine e i dipendenti, nonostante le offerte arrivate nel momento di massima difficoltà, sono rimasti al loro posto. Un segnale di attaccamento raro. La strada intrapresa mi ha convinto che è bene dare un segnale al mondo industriale, sociale e politico perché alle aziende va data la possibilità di rialzarsi, anche nell’interesse dell’economia e dei lavoratori. Ho chiesto e ottenuto di nominare io l’audit e l’Organismo di vigilanza».

Come valuta il Daspo per i corrotti varato dalla riforma del guardasigilli Alfonso Bonafede?

«Non sono d’accordo con l’interdizione dei corrotti a vita, ma per motivi diversi da quelli di Davigo che ritiene si possa aggirare la norma con prestanome. Il Daspo a vita è contrario ai nostri principi costituzionali. Se una persona commette un errore deve assumersi la sua responsabilità, deve essere sanzionato, viene punito, ma quando ha scontato la pena deve poter ricominciare a lavorare. Il Paese questo vuole».