ANDREA FASANI e NICOLA PALMA
Cronaca

“Se voglio pestare un magrebino, lo faccio e me ne frego della legalità”. Ronde anti-maranza a Milano, viaggio nella chat di Articolo 52

“Serve una cinquantina di persone fidate, zona per zona”. Creato un fondo cassa per gli avvocati. E in video call su Zoom si mostra l’equipaggiamento: corpetto corazzato e un coltello. “Non fate gli infami”

“Se voglio pestare un magrebino, lo faccio e me ne frego della legalità”. Ronde anti-maranza a Milano, viaggio nella chat di Articolo 52

Milano – “L’idea che abbiamo è quella di avere una quarantina-cinquantina di persone e dividerle per ronde e per zone. Persone fidate”. Inizia così il viaggio nella pancia di “Articolo 52”, un movimento che domenica scorsa ha lanciato una pagina Instagram (ora sospesa) per creare gruppi “anti maranza” e che sin da subito è finito nel mirino di polizia e carabinieri. “Onore, patria, sicurezza. Riprendiamoci Milano – le parole d’ordine –. L’Italia è la nostra casa. Milano è la nostra città. E noi non staremo a guardare mentre viene distrutta da degrado e criminalità”. Obiettivo dichiarato: rispondere “alla violenza con la violenza”.

Tre frame del video sotto la lente della polizia in cui si vede il pestaggio
Tre frame del video sotto la lente della polizia in cui si vede il pestaggio

Il video del pestaggio

Video-manifesto da caccia allo straniero: il violentissimo pestaggio di un giovane nordafricano sulla Darsena, additato come ladro di una collanina e colpito con calci e pugni da due uomini vestiti di nero e a volto coperto. Gli accertamenti investigativi sono partiti proprio da quel filmato, anche se al momento non risultano né interventi né chiamate al 112: l’analisi di quei frame servirà a datare il blitz e a cercare di identificare alcuni dei partecipanti per capire chi siano, se siano legati tra loro e se abbiano già colpito in passato.

Il codice Iban per il fondo cassa

Sotto la lente è finito pure il codice Iban, associato a un conto lituano, postato per chiedere donazioni con un termine-lampo di 24 ore: “Faremo un fondo cassa per le spese legali che ci troveremo ad affrontare”. Con il passare dei giorni, si sono moltiplicati follower (arrivati a quota 14mila) e chat Telegram per punti cardinali (Nord, Sud, Ovest, Est), ma gli organizzatori hanno pian piano escluso quelli che consideravano “spioni, troll e infiltrati”: “Un po’ di comunisti in meno...”. Nel tardo pomeriggio di mercoledì, è comparso sul canale principale, “Gli Orgogliosi”, il link per accedere a una riunione virtuale sulla piattaforma Zoom con inizio alle 21. Anche noi abbiamo partecipato per circa venti minuti, fin quando l’accesso è stato limitato soltanto a coloro che hanno dato la disponibilità a diventare “operativi” con nome, cognome e numero di telefono (annotati su un taccuino “che non troveranno mai”).

“Cosa intendiamo per legalità?”

A condurre la discussione è L., che si descrive come un appassionato di softair (“Lo pratico da 12 anni”), dice di aver lavorato come buttafuori e addetto di portineria e sostiene di essere stato “due anni in Afghanistan con mio zio” verosimilmente come contractor: “Qualche volta ci sono quasi rimasto”, assicura alla mini-platea in ascolto. Dopo un breve preambolo in cui accenna a quartieri da sorvegliare e coordinatori da istruire con qualche serata di prova, arriva la prima domanda spartiacque di uno dei circa venti connessi via web: “Cosa intendiamo per legalità?”.

"Non bisogna fare gli infami”

La risposta la dà F., che ha l’aria di essere uno dei principali ispiratori dell’iniziativa apparentemente senza leader riconosciuti né legami (quantomeno ufficiali) con l’estremismo di destra: “La legalità – argomenta tradendo origini capitoline – arriva fino al punto in cui possiamo intervenire con le buone maniere. Dal momento che non possiamo più intervenire con le buone maniere, sappiamo che sei fuori dalla legalità. Chi sbaglia paga, questo deve essere chiaro per tutti”. Più chiaro di così. Subito dopo, riprende la parola L. per un pressante avviso ai naviganti: “Non bisogna fare gli infami”. Come dire: se qualcuno vi prende, non dovete aprire bocca. È in quel momento che all’improvviso si inserisce un altro utente: filma con lo smartphone un coltello da cucina e sussurra “Li spacchiamo tutti, li spacchiamo tutti ’sti magrebini”. Un flash inquietante di una manciata di secondi, che si ripeterà più avanti con modalità identiche.

"Se voglio pestare un magrebino, lo pesto”

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Altri comandamenti della giustizia fai-da-te: “Non fatevi impressionare da gente con le lame: se partiamo così, vuol dire che abbiamo paura di andare incontro a queste cose. Se siete qua dentro, dovete essere consapevoli: non dovete aver paura, dovete fregarvene, perché sennò tanto vale dire che siete stufi e basta. Se voglio pestare un magrebino perché mi sta sul c. o perché sta facendo una cosa sbagliata e mi alza le mani lui per primo, io lo pesto e me ne frego della legge. Me ne frego anche di quello a cui vado incontro. E non lo pesto perché voglio sfogare la mia rabbia o perché non voglio più vederlo sulla faccia della Terra, ma lo pesto perché ha sbagliato”. Rincara F.: “Noi non vogliamo rompere i c. a nessuno, ma se c’è da intervenire si interviene con qualunque mezzo. Senza paura e senza problemi. Punto”.

L’equipaggiamento

Snocciolato il decalogo da The Punisher, si passa all’equipaggiamento da indossare. L. mostra a favor di videocamera un gilet tattico mimetico, simile a un giubbotto antiproiettile, da rinforzare all’occorrenza con una piastra e un tappetino di gommapiuma: “Se vi arriva una coltellata, fidatevi che non vi arriva nel cuore ma vi arriva dentro la piastra e si ferma lì”. Avvertenza da tenere sempre a mente: “Non lo dovete mai usare scoperto, ma sempre sotto la giacca o la felpa, altrimenti le forze dell’ordine vi possono chiedere “Perché andate in giro con questi corpetti militari?””. Già. “Per quanto riguarda bodycam e walkie talkie, ve li forniremo noi”, chiude l’argomento F. Un ragazzo con nickname Dux chiede qualche informazione in più. Un altro mostra i volantini che ha stampato “per spiegare bene quello che facciamo, altrimenti tempo zero diventiamo un movimento neo nazista”.

F. taglia corto: “Ci hanno già provato, tranquillo”. Poi va al sodo: “Adesso vorrei capire una cosa: iniziamo seriamente a vedere chi c’è e chi non c’è. Chi non c’è deve uscire dal gruppo, chi non vuole partecipare a questo progetto deve uscire dal gruppo. Appena potete, mandate a un messaggio a L. con le vostre generalità. Scrivete in privato il recapito telefonico ed esprimete la volontà di far parte o meno del gruppo. Chi non se la sente, chi ha paura, chi pensa che non sia il gruppo adatto a lui, se ne può liberamente andare senza problemi. Noi non tratteniamo nessuno, ma siamo determinati a fare un certo lavoro sul territorio. E sarà fatto”. A meno che qualcuno non li fermi prima.