NICOLA PALMA
Cronaca

Ronde “anti maranza”: organizzatori identificati. Scatta l’indagine della Procura per associazione a delinquere

Nel fascicolo aperto dal pm Gobbis si ipotizza anche il reato di istigazione alla discriminazione razziale. L’inchiesta: hanno un nome alcuni degli ideatori del movimento “Articolo 52” lanciato su Instagram

Il coltello comparso mercoledì sera durante la diretta sulla piattaforma Zoom

Il coltello comparso mercoledì sera durante la diretta sulla piattaforma Zoom

Milano – La Procura ha aperto un’indagine per associazione a delinquere sul movimento “Articolo 52” lanciato via Instagram poco meno di una settimana fa. Nel fascicolo affidato al pm Alessandro Gobbis, stando a quanto risulta, si ipotizzano anche altri reati-fine: dalla propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa al pestaggio di un ragazzo avvenuto sulla Darsena nei giorni scorsi. Alcuni dei presunti ideatori dell’iniziativa, che puntano senza mezzi termini a organizzare ronde “anti maranza” in giro per la città, sarebbero già stati identificati dagli investigatori, che da giorni stanno scandagliando il web per dare un nome a chi promette di “rispondere alla violenza alla violenza” e di “riprendersi Milano” al grido di “onore, patria e sicurezza”.

Gli accertamenti delle forze dell’ordine si sono concentrati in prima battuta sull’analisi del video-manifesto pubblicato domenica scorsa sui social: il fimato di una cinquantina di secondi mostra la violentissima aggressione subita da un ragazzo vicino al ponticello che collega viale Gorizia a viale D’Annunzio; accusato da alcuni passanti di aver appena scippato una collana, viene colpito ripetutamente con calci e pugni da almeno due uomini vestiti di nero e con i volti coperti da cappucci e scaldacollo. Fotogrammi difficili da collocare nel tempo, visto che dopo quel raid nessuno ha chiamato il 112 per chiedere aiuto. La lente di chi sta indagando si è poi spostata sui gruppi creati sull’app di messaggistica istantanea Telegram, che con il passare dei giorni sono stati “ripuliti” dai gestori da coloro che sono stati definiti “spioni, troll e infiltrati”.

Proprio da uno di quei canali divisi per punti cardinali (Nord, Sud, Ovest, Est) è stata lanciata mercoledì pomeriggio una riunione sulla piattaforma Zoom. Un incontro virtuale per contarsi e assoldare “gente fidata”. Un incontro a cui abbiamo partecipato anche noi per una ventina di minuti, come dato conto ieri su queste pagine, fin quando sono rimasti solo quelli che hanno dato la disponibilità a “entrare in azione”. Il primo a prendere la parola è stato L., che si è descritto come un appassionato di softair (“Lo pratico da 12 anni”), ha detto di aver lavorato come buttafuori e addetto di portineria e ha sostenuto di essere stato “due anni in Afghanistan con mio zio” verosimilmente come contractor. Dopo un breve preambolo in cui ha accennato a quartieri da sorvegliare e coordinatori da istruire con qualche serata di prova, è arrivata la prima domanda spartiacque da uno dei circa venti connessi via web: “Cosa intendiamo per legalità?”.

La risposta l’ha data F., parso dal suo intervento uno dei principali ispiratori dell’iniziativa senza leader riconosciuti né legami (quantomeno ufficiali né finora rintracciati dagli approfondimenti investigativi) con l’estremismo di destra: “La legalità – ha argomentato tradendo origini capitoline – arriva fino al punto in cui possiamo intervenire con le buone maniere. Dal momento che non possiamo più intervenire con le buone maniere, sappiamo che sei fuori dalla legalità. Chi sbaglia paga, questo deve essere chiaro per tutti”. Nel corso della diretta, uno degli utenti ha mostrato in più occasioni un coltellaccio da cucina, sussurrando: “Li spacchiamo tutti, li spacchiamo ’sti maghrebini”. Inoltre, sono stati mostrati gilet tattici militari da rinforzare con piastre e da portare sotto giacca o felpa per non rendersi visibili a polizia e carabinieri.