MASSIMILIANO SAGGESE
Cronaca

Omicidio Mastrapasqua. Viaggio a Rozzano, che si ribella all’immagine di città violenta e senza legge

Nel 2003 la risposta d’orgoglio alla mattanza di Vito Cosco. Vent’anni e tanti tentativi di riscatto dopo, l’immaginario resta segnato

Manuel Mastrapasqua ucciso a Rozzano

Rozzano (Milano) – Una città dai due volti. Incoerenti tra loro. Da una parte “Rozzangeles” e la “Rozzi” del rapper Paki, i cui versi appaiono oggi sinistramente profetici: “Rozzi, si apre il fuoco. Io qua ci muoio”. Dall’altra, la città che con fatica prova da anni a ripulire la propria immagine, sventolando i progetti sociali, le eccellenze del territorio come l’Humanitas o l’osservatorio astronomico più grande d’Europa.

Ma come una maledizione, come una tara genetica, la città violenta, delle case popolari (una città nella città, con i suoi 14.500 residenti nei palazzi Aler), dei paragoni con le banlieue, continuano a tornare. "Rozzano non è un brutto paese. E Manuel Mastrapasqua era un bravo ragazzo, un lavoratore, uno dei tanti della nostra città”, ha detto Gennaro Speria, fondatore di Area 51, l’associazione che da quasi dieci anni lavora per sostituire la parola “criminalità” con “solidarietà”. Sforzi che condividono con lui anche le migliaia di cittadini “onesti e perbene” che qui abitano, come sottolineato due giorni fa dal sindaco Gianni Ferretti per rispondere alla frase di Fedez pronunciata durante una rissa: “Io sono di Rozzano, l’ammazzo”.

Aveva difeso Rozzano allo stesso modo Mariarosa Malinverno sindaca del Pd ai tempi della “Mattanza di Vito Cosco" nel 2003. Tutta la città si mobilitò per salvaguardare il nome di Rozzano. In migliaia scesero in strada contro chi indicava la città come il covo di “13mila residenti pregiudicati”.

Partiamo proprio dalla Mattanza di Vito Cosco: era il 23 agosto di 21 anni fa quando Cosco, per un debito di droga non pagato, fece fuoco uccidendo quattro persone fra cui la piccola Sebastiana, che allora aveva tre anni. La risposta popolare e politica fu massiccia. E una volta passato il lutto per le quattro vittime, la rabbia e l’indignazione si trasformarono in rinascita. Un percorso che ha portato ad avere sul territorio un ospedale come Humanitas collegato all’università, numerose realtà commerciali, la crescita del livello occupazionale e l’impennata del valore degli immobili.

Da una parte quindi l’orgoglio dei rozzanesi “perbene“, dall’altra però il sangue e la violenza, che continuano ad alimentare il mito della città senza legge. A febbraio del 2019 due omicidi in meno di 12 ore: l’imprenditore rozzanese Giuseppe Giuliano crivellato di colpi all’ingresso del cantiere di Cascina Vione (i killer sono stati arrestati pochi mesi fa) e, poche ore dopo, Antonio C, 63 anni, freddato vicino a un supermercato. Poi ancora, a gennaio di quest’anno, un cittadino marocchino di 32 anni, accoltellato qualche ora prima in un’officina di Fizzonasco, e scaricato in via Pavese. E infine, solo una decina di giorni fa, i tre colpi di pistola esplosi in via Berlinguer da un 21enne rozzanese per intimidire la ex.

Ci sono poi le piaghe “storiche“, come lo spaccio 24 ore su 24 di fronte alla fermata di Piazza del Municipio che neanche i continui interventi delle forze dell’ordine sono mai riusciti a bloccare. E chissà se ci riusciranno i lavori per riqualificare il cuore del quartiere popolare della città avviati dall’amministrazione qualche settimana fa. Per far finalmente prevalere “l’anti Rozzangeles“, quella che il soccorritore Francesco Lombardi, che per anni ha lavorato in città, chiama la Rozzano delle "molte persone perbene, magari in difficoltà economiche, che nella loro grande o piccola disponibilità aiutano il prossimo”.