Come accade sovente dopo una manifestazione di stampo neofascista, la giustizia indaga. E così, la Procura di Milano ha aperto un fascicolo modello 45 (registro degli atti non costituenti notizia di reato) a seguito del corteo che si è tenuto lunedì a Milano per commemorare Sergio Ramelli, ucciso nel 1975 da un gruppo di giovani di estrema sinistra, legati ad Avanguardia Operaia, poi condannati negli anni Ottanta.
Come accade da anni, al termine del corteo – che si chiude in via Paladini, dove Ramelli fu accerchiato e assalito – i circa 1.500 presenti alla manifestazione hanno messo in atto il rito del “presente”: un leader chiama “attenti”, scandisce per tre volte il nome “camerata Sergio Ramelli” e i partecipanti rispondono “presente” mentre esibiscono il saluto romano a mano tesa.
Ramelli, considerato anche dalle istituzioni italiane un martire della violenza politica, venne aggredito proprio il 13 marzo e morì in ospedale dopo oltre un mese di agonia. È considerato una delle vittime degli Anni di Piombo, il periodo compreso tra gli anni Sessanta e Ottanta contraddistinto da un estremismo politico che produsse violenze di piazza, lotta armata e terrorismo, sia di destra che di sinistra. I responsabili dell’omicidio furono identificati dieci anni dopo l’aggressione e tra il 1987 e il 1990 furono processati e condannati in via definitiva per omicidio volontario.
Un altro fascicolo, sempre modello 45, senza notizie di reato né indagati, è stato aperto dalla procura di Milano, e affidato anche questo ai pubblici ministeri Francesca Crupi e Alessandro Gobbis, dopo che una cinquantina di militanti fascisti hanno commemorato, il 27 aprile come da tradizione, i morti della Repubblica sociale italiana al Campo X del cimitero Maggiore. La cerimonia – presenti in gran parte militanti di lungo corso – si è poi conclusa con la benedizione di tutte le tombe dei repubblichini e il suono del silenzio d'ordinanza. Niente rito del presente, né saluti romani.