Milano, 24 novembre 2019 - C'è chi vorrebbe buttarlo giù e chi tenerlo in piedi per sempre, totem venerato dei sogni di gloria di tante generazioni di tifosi. C’è chi vorrebbe farne un museo della storia del calcio, e c’è chi propone di abbatterlo sì, ma salvandone un pezzo in ricordo del tempo che fu, quando rossoneri e nerazzurri si spartivano la grandezza nazionale e internazionale. È San Siro, uno degli stadi più importanti, conosciuti e temuti al mondo - il secondo più bello al mondo dopo il Westfalenstadion di Dortmund per la sua capacità di trasmettere emozioni, secondo il Times -, oggi entrato nel vortice del ricambio generazionale, filosofia che tutto coinvolge e sostituisce. Il dibattito è noto: Inter e Milan premono per un nuovo impianto, e il proprietario del vecchio, il Comune, non sa che pesci prendere. Si moltiplicano i sondaggi, le proteste, gli appelli, i pareri di atleti e cantautori, grandi chef, gente della strada. Tutti ex bambini, che al novantatreenne monumento del calcio sono ineluttabilmente affezionati.
Non potendo qui entrare nella disputa, ci limiteremo a ricordare la storia nuda e cruda dello stadio, intitolato nel 1980 a Giuseppe Meazza, quando già era assurto a simbolo primario della città, insieme con il Duomo, la Galleria, il Castello Sforzesco. Tra i suoi progettisti, l’architetto Ulisse Stacchini (1871-1947), ideatore di un’altra icona della città, la stazione Centrale. Era il 1925, fin lì a Milano si era giocato in campi malandati, sparsi per la futura metropoli: al Trotter, in piazza Andrea Doria; in Ripa Ticinese, con i palloni che finivano nel Naviglio; all’Acquabella, dove oggi si estende piazzale Susa; al Milan-Monforte (via Fratelli Bronzetti), passato alla storia il 7 gennaio 1906, quando le porte furono dotate di reti, ed era la prima volta in Italia; all’Arena Civica, che ospitò stabilmente l’Inter dal 1930 al 1949. Insomma, un brutto vivere senza una vera casa. Fino a che, nel 1925, a Piero Pirelli, presidente del Milan (paradosso: oggi Pirelli sponsorizza l’Inter), che molto si era già speso per trovare campi di fortuna qua e là, non venne voglia di costruire un grande stadio a ridosso dell’ippodromo del trotto. Mettendo sul tavolo i denari necessari di tasca propria, incaricò dell’opera il citato Stacchini e l’ingegnere Alberto Cugini, che disegnarono una struttura di spartana semplicità, con quattro tribune rettilinee per 35mila posti, inaugurata il 19 settembre 1926 con una amichevole tra Inter e Milan (6-3).
Passato al Comune nel 1935, l’impianto venne ampliato con la creazione di quattro curve di raccordo, per una nuova capienza di 55mila posti. In tempo di guerra, dal 1941 al 1948, il Milan lo abbandonò per l’Arena: l’energia elettrica scarseggiava ed era sempre più arduo lo spostamento dei tram, per lo più adoperati dai tifosi rossoneri per andare appunto allo stadio. Proprio in quell’ultima stagione l’impianto divenne il campo casalingo anche dell’Inter. Nel 1955, altro ampliamento con un secondo anello a coprire le vecchie tribune. Il terzo anello arrivò per Italia ’90: un rinnovamento profondo, con le gigantesche travi fuori sagoma e la copertura di tutti i posti a sedere. E altri interventi, modifiche e aggiustamenti a dipanare la storia: le partite della nazionale, i derby tra Mazzola e Rivera, i gol di Gigi Riva, i trionfi internazionali rossonerazzurri. Qui, il 18 giugno 1965 si sfidarono Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi (vinse il primo), e qui si sono esibiti Bob Marley (1980), Bruce Springsteen, i Rolling Stones. Qui sono “scesi in campo” Benedetto XVI e Francesco per parlare ai loro giovani. E qui si sono addensati in quasi un secolo tanti di quei miti e quelle storie che noi umani non potremo mai cancellare. Nemmeno con mille ruspe.